Ammettiamo: ne sentivamo la mancanza. Da ottobre c’è un grande vuoto nella politica italiana: non si trova un commissario alla Spending review dopo le dimissioni (licenziamento con promozione al board del Fondo monetario internazionale) di Carlo Cottarelli. E adesso i retroscenisti dei giornali si arrovellano: ma quando arriva la nomina di Yoram Gutgeld? Repubblica, che già l’ha annunciata una decina di volte, la dà per fatta. Il Corriere della Sera ci informa di una “battuta d’arresto”, il Sole 24 Ore di un tandem, GutgeldRoberto Perotti. Sorvoliamo sulla discussione deontologica (commentare un fatto che non si è verificato, visto che il Consiglio dei ministri non ha nominato alcun commissario) e stiamo al merito. Serve un nuovo commissario?  

Di esperti, singoli o riuniti in comitato, che lavorano sulla spesa pubblica se ne ha notizia almeno dal 1981. Piero Giarda ha fatto in tempo a occuparsene ben due volte. Per mesi e mesi, tutto il 2013 e oltre, Cottarelli ha raccolto pareri, organizzato interviste (le faceva dieci alla volta, in modo da essere su tutti i giornali), evocato rivoluzioni organizzative. Ha accumulato molte proposte, quelle esplicitate tipo l’intervento sulle pensioni sono stati subito smentiti. Gli altri, saggiamente, sono rimasti coperti. Dimenticato Cottarelli, avanti un altro. L’idea di creare un “commissario” trasmette subito un brivido di efficienza. Ma sfugge al comune buon senso: il commissario non ha poteri, non può tagliare lui la spesa, si limita a suggerire al governo dove e come intervenire. Dando per scontato che Cottarelli non si sia portato a Washington tutti i documenti, a palazzo Chigi dovrebbero avere già una buona base.  

Gutgeld e Perotti, poi, non hanno operato nell’ombra. Il deputato Pd, ex consulente McKinsey, un paio di anni fa ha scritto un libro molto dettagliato, Più uguali, più ricchi (Rizzoli), che era frutto di un lungo confronto con i migliori economisti italiani. E Roberto Perotti, dalla Bocconi e sul sito lavoce.info, ha dato mille spunti su come ridurre gli sprechi: dalle indennità dei consiglieri regionali a quelle dei grandi burocrati alle follie commesse con i fondi strutturali europei. Perotti ha dedicato anche un memorabile articolo all’Expo, spiegando che tutte le stime sul suo impatto economico (incluse quelle elaborate dalla Bocconi, dove insegna) sono meri esercizi di fantasia. Tanto Gutgeld che Perotti sono molto scettici sulle grandi opere di era berlusconiana, a cominciare dal Tav Torino-Lione. Idem per gli incentivi a pioggia dati alle imprese, di solito a controllo pubblico, che distorcono la concorrenza e servono solo a foraggiare pezzi di para-stato. Se Renzi ha voglia di spunti su come applicare la sua propensione all’uso dei decreti legge, insomma, non ha bisogno di un provvedimento di nomina. Gli basta una telefonata o una ricerca su Google.  

Quando invece ha dovuto tagliare sul serio, ha ignorato tutti gli utili spunti di Gutgeld e Perotti: 7,2 miliardi di tagli lineari agli enti locali nella legge di stabilità (tradotto: arrangiatevi) e 150 milioni scippati dal canone Rai che hanno innescato la vendita delle torri di Rai Way con i cascami che sappiamo. Per tagliare davvero a Renzi serve coraggio, non un commissario.  

Twitter @stefanofeltri

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