Lunedì scorso il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha convocato i vertici di Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali e Carige, le banche che hanno in pancia nel complesso più del 73% del capitale di Palazzo Koch. A scriverlo è Il Messaggero, secondo cui al centro della riunione che si è svolta in via Nazionale c’è stato il nodo della vendita delle quote eccedenti il limite del 3% fissato lo scorso anno dal decreto Imu-Bankitalia e dei dividendi collegati. Il provvedimento varato dal governo Letta ha disposto come è noto la rivalutazione da 156mila euro a 7,5 miliardi del capitale di Bankitalia. Con conseguenze molto positive per gli istituti di credito che ne sono azionisti, i quali hanno potuto aumentare di cinque volte il valore contabile delle relative poste di bilancio. Vedendo così aumentare la propria patrimonializzazione alla vigilia degli “esami” della Banca centrale europea.

Ma il decreto fissava anche alcuni paletti volti a trasformare l’istituto guidato da Ignazio Visco in una società “ad azionariato diffuso”: in particolare, concedeva alle banche tre anni (fino al 2016) per ridurre la propria partecipazione sotto il 3%, vendendo le quote sul mercato o cedendole alla stessa Banca centrale. Si parla di pacchetti di notevole valore, considerato che le due banche più coinvolte, Intesa e Unicredit, hanno ora in pancia rispettivamente il 42,5% e il 22,1 per cento del capitale.

Secondo il quotidiano romano gli aspiranti acquirenti non mancano: in prima fila l’Inail, che ha già lo 0,7% di Bankitalia ed è pronto a rilevare la quota dell’Inps (2%). Interessati anche Allianz Italia, la Fondazione Cariplo di Giuseppe Guzzetti e altre casse di previdenza. Mentre “per ragioni di opportunità” non è previsto l’ingresso di soci esteri. L’avvio del piano di quantitative easing della Bce potrebbe però rappresentare un ostacolo sul percorso delle cessioni: nei giorni scorsi Angelo Baglioni, docente di Economia politica alla Cattolica di Milano e esperto di economia monetaria, ha fatto notare in un intervento su lavoce.info che in base alle regole del piano di Mario Draghi l’80% del rischio sovrano resta in capo alle banche centrali nazionali. Di conseguenza, è il suo ragionamento, “se il governo italiano dovesse applicare un taglio del 50 per cento al valore nominale dei titoli del debito pubblico, la Banca d’Italia accuserebbe una perdita tale da azzerare il suo capitale”. In questo quadro, si chiede Baglioni, “chi sarà disposto a comprare le quote e a quale prezzo?”. Se nessuno si fa avanti, peraltro, ad acquistarle dovrà essere la Banca d’Italia stessa, “assumendosi il rischio di doverle poi rivendere a prezzi inferiori”.

In attesa di capire come evolverà la situazione e di definire i dettagli del trasferimento delle quote, comunque, Palazzo Koch ha deciso di iniziare a far chiarezza sul nodo dei dividendi. Le nuove regole stabiliscono che i soci di Bankitalia incassino, a parità di utili, una cedola pari a circa sei volte quella ricevuta negli anni scorsi, per un importo massimo del 6% del capitale. Che equivale a 450 milioni di euro. Ma è ancora oggetto di discussione come avverrà il pagamento. Proprio su questo si è concentrata l’attenzione durante il vertice “interlocutorio” del 2 marzo.

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