Quando ero bambino era usuale che i miei genitori mi portassero sulla spiaggia di Noli per vedere le barche dei pescatori che tornavano a riva. E talvolta acquistavamo il pesce fresco che esse recavano in pancia.

Su tutte le spiagge rivierasche i pescatori giovani e vecchi curavano le loro imbarcazioni e riparavano le reti. Essi si sarebbero senz’altro potuti riconoscere nel testo di quella splendida Creuza de mà che un giorno avrebbe cantato Faber.

Oggi quel mondo non esiste più. A Noli i ‘cicciarelli’ sono addirittura diventati un presidio di Slow Food ed in paese giunge il pesce pescato nell’Atlantico. Seppure con ritardo rispetto alla distruzione delle specie animali sulla terraferma, ‘il sistema’ (perdonatemi il sostantivo che denuncia la mia età…) ha iniziato da pochi decenni a saccheggiare le risorse (brutto termine) marine con una vera e propria industria che utilizza mezzi altamente sofisticati per individuare i banchi di pesce, come elicotteri, sonar, satelliti. Un’industria che, come quella terrestre, non pensa al futuro ma solo ed esclusivamente a trarre il maggior profitto possibile dal presente.

In questi giorni un articolo apparso su Science ed una campagna lanciata da Greenpeace denunciano l’eccessivo sfruttamento della fauna marina. E a dicembre sempre Greenpeace ha manifestato davanti al Parlamento Europeo contro il sovrasfruttamento (overfishing), agevolato dalle quote di prelievo fissate dalla politica e non coerenti con l’allarme lanciato da molti scienziati. Sovrasfruttamento che riguarda – sempre secondo l’associazione – circa il 40% delle risorse ittiche del Nord Est Atlantico e addirittura oltre il 90% del Mediterraneo.

Un esempio classico di sovrasfruttamento è dato dal merluzzo, letteralmente scomparso da certe zone del globo.

Proprio quel merluzzo che, per tornare alla Liguria, costituisce la base di molte ricette storiche della sua cucina, come la buridda, un tempo piatto povero, oggi piatto per famiglie benestanti…

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