Via Natale del Grande a Roma. Il vento gelido si infila tra i palazzi e colpisce in pieno volto chi è qui, all’assemblea pubblica convocata dai ragazzi del cinema America occupato. Saremo circa quattrocento. Forse troppo pochi. Ma fa freddo ed è venerdì tardo pomeriggio.

Il tavolo della presidenza è davanti al Piccolo America, il forno riadibito a sala cinematografica che ha riempito di contenuti diversi da quelli che i giornali sempre fantasiosi chiamano della movida le serate di Trastevere negli ultimi sei mesi. Uno striscione nero con scritta bianca. “Salviamo i cinematografi”. Con il microfono pronto ci sono i ragazzi che oggi hanno non più di 23 anni e che ormai quasi tre anni fa occuparono il Cinema America chiuso da anni e destinato a diventare residence. Che furono sgombrati per volontà dei proprietari ad inizio settembre dello scorso anno. Che ottennero dal Ministro Franceschini la decisione che quel cinema non potesse che essere un cinema. Che poi continuarono a regalare serate di film ed incontri nel forno dismesso accanto al cinema che loro ribattezzarono Piccolo America.

Ecco loro e noi siamo qui perché oggi scade il contratto di affitto del Piccolo America. Domani se ne devono andare. E’ per questo che entro oggi il sindaco di Roma Ignazio Marino aveva promesso pubblicamente, con tanto di foto sorridente postata su facebook e twitter, di affidare ai ragazzi la gestione di una sala abbandonata di Trastevere per poter continuare il grande lavoro di aggregazione cinematografica e non solo svolto con i cittadini di Roma.

Ma il sindaco di Roma non ha mantenuto la promessa. Questo ci comunica Valerio, il piccolo grande leader di questo movimento che si porta dentro la sana trasgressione della giovinezza, che è “contro il tempo, contro le stagioni, per una cultura libera ed accessibile a tutti, per spazi vivi che producono cultura, socialità ed aggregazione. Perché ci piace, perché non ci va di starvi a guardare, perché vogliamo creare, costruire e perché vi vogliamo distruggere.” Valerio grida al microfono la sua rabbia, la sua indignazione, la sua irriverenza verso questi politici che giustamente non gli piacciono. Grida Valerio, grida, ma non perde mai per un istante la lucidità.

Lui e i ragazzi che in questi anni hanno anteposto a tutto, scuola famiglia affetti amori, il Cinema America non si arrendono. Loro sentono di avere perso, ma in realtà si sentono vincenti. Oggi più che mai. Vogliono essere il granello che farà inceppare il meccanismo perverso che potrebbe portare le quarantadue sale cinematografiche chiuse di Roma a diventare altro, oggetto di speculazioni finanziarie ed edilizie, con l’avallo del comune di Roma. Faranno di Trastevere un grande cinema diffuso, creando mille piccoli posti in cui proiettare, discutere, stare insieme. Nella rabbia sempre più infervorata del suo intervento Valerio trova il modo di ringraziare tutti quelli che gli sono stati vicini. Tutti i ragazzi del movimento. Tutti i cittadini. Tutte le persone di cinema che li hanno aiutati e sostenuti. Ringrazia anche la nonna per l’insegnamento grande che gli ha dato di imparare a scegliere dove stare. E a tenere la posizione. Cede poi il microfono a quelli che lui definisce maestri del nostro cinema.

Ecco, francamente dei loro interventi io stasera avrei fatto volentieri a meno, perché non sono riusciti a rendere un quinto dell’efficacia delle parole di Valerio tradotte in ponderati interventi di chi è più grande, più maturo, più saggio. Ma in fondo anche più avvezzo a vivere in mezzo alle promesse non mantenute che tanto indispettiscono Valerio. I maestri non possono essere troppo indispettiti. Hai visto mai. Francesco Bruni invece fa un bell’ intervento. Lui, tra tutti quelli che siamo stati più vicini a questi ragazzi, è quello che ha diviso con loro più tempo. Ha presentato film, ha fatto incontri, ha giocato a tombola, ha mangiato con loro, ha seguito le riprese di un loro piccolo documentario.

Francesco Bruni racconta di un campionato che si chiude con tutte vittorie ma anche il suo personalissimo sgomento per un posto che da domani non ci sarà più. E con lui ci sono i volti sgomenti di tante persone di Trastevere che quotidianamente hanno diviso tempo, energie e sogni con questi ragazzi. C’è Silvia, la signora che abita nello stesso condominio del Cinema America, la signora che è stata sempre comunista ma che adesso non sa più cosa dover essere, la signora che alcuni giorni fa mi ha detto questa cosa illuminante: “a me ormai interessa solo quello che non capisco, perché lì sta il futuro, e all’inizio questi ragazzi non li capivo”.

Valerio riprende in mano il microfono. Grida ancora. Adesso andiamo tutti in corteo a posizionare lo striscione davanti alla Sala Troisi, che forse doveva essere il posto della promessa tradita. In fondo questa giornata è diventata una piccola festa. Lo ripete al megafono Valerio: oggi abbiamo vinto, perdendo.

Sì Valerio, andate avanti. Sempre. Senza fermarvi. Create. Costruite. Distruggeteci.

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