L’analisi dell’avvocato Cosimo Francioso sul Jobs Act, definitivamente varato dal Consiglio dei ministri il 20 febbraio.

IL JOBS ACT DEL PARLAMENTO, QUELLO DEL GOVERNO E I NUOVI DIRITTI NANI
Venerdì 20 febbraio è stato definitivamente varato dal Governo il testo del decreto delegato in materia di Jobs Act.
Le violazioni contenute in questo ultimo atto governativo sono troppe e troppo gravi per poter formare oggetto soltanto di dissensi o consensi politici.
Le innumerevoli e gravi violazioni sono avvenute nell’ambito del nostro ordinamento giuridico complessivamente considerato e in tale ambito andranno esaminate, partendo dalle regole costituzionali sulla “formazione delle leggi” (artt. 70 e seguenti Cost.) e in particolare di quella dettata dall’art. 76 Cost. secondo cui “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi … e per oggetti definiti”.
Per il chiarissimo tenore della regola costituzionale appena vista, una normativa che venga eccezionalmente delegata al Governo non si giudica soltanto con i normali criteri di merito (è una buona soluzione; no, è una soluzione ancora insoddisfacente; etc.), ma si giudica soprattutto con i criteri di metodo (è rispettosa o non è rispettosa dei principi, dei criteri direttivi e per gli oggetti definiti come precisati dal Parlamento con la sua legge delega).
Principi, criteri direttivi, oggetti definiti.
E allora cominciamo col vedere punto per punto cosa voleva il Parlamento (delegante), ricavandolo ovviamente dal testo della legge delega, e cosa invece ha fatto il Governo (delegato) nella nostra delicata materia.
1°) Il delegante (Parlamento) voleva rendere per il futuro più conveniente il contratto a tempo indeterminato rispetto agli altri tipi contrattuali, e invece il delegato (Governo) lo ha fatto solo indirettamente (nella Legge Finanziaria) e solo per il primo anno, il 2015, peraltro in una misura così sconsideratamente elevata (l’intera contribuzione a carico del datore di lavoro) da segnarne inesorabilmente anche la sua limitatissima durata, quasi che la partita si debba giocare tutta e solo nel 2015, lasso di tempo in cui si giocheranno forse le fortune del Premier.
Ma il Parlamento non voleva un effetto propagandistico per l’anno 2015 soltanto; voleva risolvere per il futuro, una volta per tutte, il seguente problema: rendere il contratto a tempo indeterminato più conveniente rispetto agli altri tipi contrattuali concorrenti.
Se il Governo avesse detto “dal 2015 in avanti il contratto a tempo indeterminato costerà il 30% in meno” avrebbe certamente centrato la delega e la discussione sarebbe potuta passare a quel punto anche al merito (va bene; no, non è ancora sufficiente; etc.).
Così invece la delega data dal Parlamento al Governo non è stata correttamente attuata.
2°) Il delegante (Parlamento) voleva, inoltre, sempre per favorirne la diffusione, nuove assunzioni a tempo indeterminato “a tutele crescenti in relazione all’anzianità”.
Quindi voleva anche un secondo incentivo per gli imprenditori, consistente nel minor peso dei vari trattamenti dovuti al lavoratore neo-assunto, e ciò però solo per tutto il tempo destinato alla “crescita”, fino cioè all’acquisizione delle tutele piene, quelle di tutti gli altri. E invece il delegato (Governo) si è concentrato solo sul regime di un suo licenziamento “speciale”, destinato soltanto ai neo-assunti e senza mai consentire ad essi l’acquisizione delle tutele piene del licenziamento ordinario. Nessuno, e quindi neppure il Parlamento italiano delegante, conosceva una stranezza come questa, perché mai nessuno lo aveva neppure ipotizzato in astratto, e ciò perché tutti pensavano, nel rispetto delle parole usate (“tutele crescenti”) e dell’idea primigenia battezzata a Bruxelles anni addietro, che si trattasse di scambiare un primo periodo di minori tutele (i primi tre anni) per poi ritrovarsi a regime una maggiore quantità di buona occupazione.
La delega quindi è stata in questo caso stravolta.
3°) Il delegante (Parlamento) voleva, e lo voleva solo per il limitato tempo della “crescita”, che i licenziamenti disciplinari ingiustificati non dessero tutti luogo alla reintegrazione, ma solo quelli riconducibili a “specifiche fattispecie” (a mero titolo di esempio potremmo provare a dire: i licenziamenti disciplinari non preceduti da apposita contestazione e quelli non rispettosi dei codici disciplinari obbligatori ex art. 7 L. 300/70 danno luogo a reintegrazione; tutte le altre fattispecie danno luogo invece alla sola tutela risarcitoria).
E invece il delegato (Governo) ha escogitato la categoria generale della “insussistenza del fatto materiale” posto a base del licenziamento disciplinare, che creerà l’assurdo risultato che potranno essere contestati fatti materiali magari sussistenti ma non antigiuridici e che comunque vanifica il dovere di sporcarsi le mani con una plausibile casistica specifica.
E questo è ancora violazione della delega.
4°) Il delegante (Parlamento) non voleva che il delegato (Governo) si occupasse anche della materia, storicamente diversa e del tutto autonoma dei “licenziamenti collettivi” e invece quest’ultimo ci ha messo pesantemente le mani ugualmente, come se fosse stato autorizzato, senza neppure fermarsi davanti al parere delle commissioni parlamentari che gli chiedevano di tornare indietro almeno su quest’ultimo delicatissimo punto.
E questo si chiama eccesso di delega.
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E quindi???
Quindi ci sarà lavoro per i giudici ordinari e per quelli della Corte Costituzionale per vagliare tutti questi profili di non conformità rispetto alla legge delega nonché tutti gli altri che fanno capo agli altri doveri costituzionali di razionalità del sistema e di contrasto delle diseguaglianze senza giustificazioni di cui stanno già parlando i commentatori della materia.
Uno Stato di Diritto che si rispetti ha le sue possibilità di correzioni interne, la più importante delle quali risiede nel fatto che l’ordinamento giuridico va rispettato sempre nel suo complesso, ordinamento con cui la vita stessa delle nuove leggi deve perciò fare i conti.
Ma perché ciò accada c’è bisogno di cittadini, mai sudditi, che, non rassegnandosi di fronte alle singole tessere del mosaico che stonano con il resto, continuino ad invocare la giustizia giusta, secondo l’insuperabile “sentire comune” delle persone perbene.

Cosimo Francioso
Avvocato giuslavorista, fondatore di www.legalilavoro.it

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