Il comitato Centrale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina ha deciso di interrompere “ogni forma di coordinamento per la sicurezza con Israele”. Lo ha reso noto lo stesso Comitato centrale motivando la decisione “con la sistematica violazione” da parte di Israele “dei suoi obblighi in relazione agli accordi firmati”.

Per ora si tratta di una “raccomandazione” all’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen – al termine di una due giorni incentrata sulle strategie da assumere di fronte allo stallo ormai prolungato del processo di pace e sullo sfondo di un clima di tensione sempre più evidente. La decisione – che sembra rimettere in questione uno dei punti centrali degli Accordi di Oslo degli anni ’90 – è stata motivata con “la sistematica violazione” da parte di Israele “dei suoi obblighi in relazione agli accordi firmati”, oltre che come una risposta ai “raid militari nello stato di Palestina e agli attacchi contro civili e proprietà” private.

Secondo l’organismo dell’Olp (composto da oltre 120 membri in rappresentanza di Cisgiordania, Striscia di Gaza ed esponenti della diaspora in vari paesi arabi) va poi “respinto ogni tentativo di riconoscere Israele come Stato Ebraico”, questione introdotta come condizione di ogni prospettiva di pace dal governo di Benyamin Netanyahu. “La Palestina – si legge ancora nella dura dichiarazione diffusa dal massimo organismo rappresentativo della causa palestinese – non legittimerà le politiche razziste condotte da Israele contro il popolo palestinese, sia all’interno d’Israele sia nello stato di Palestina”, esattamente “come rigetta l’islamizzazione della regione voluta da entità estremiste” della galassia jihadista.

Altro punto adottato riguarda il boicottaggio di “tutti i prodotti israeliani e non solo di quelli degli insediamenti”. ”Israele – è detto – deve pagare il prezzo per il rifiuto di assumersi le sue responsabilità’ rispetto alla legge internazionale, incluso il sistematico diniego del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”. Nel documento, votato al termine della riunione – e pubblicato in arabo dall’agenzia Maan – si legge quindi che “ogni nuova Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu” dovrà assicurare “un rinnovato impegno per la legittimità internazionale” e garantire “un termine per porre fine all’occupazione e per consentire allo Stato di Palestina di esercitare la sua sovranità sul proprio territorio occupato nel 1967, compresa la capitale, Gerusalemme”. Senza escludere la risoluzione della ”la questione dei profughi”.

Oggi stesso il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat aveva richiamato le dichiarazioni del presidente dell’Anp, Abu Mazen, secondo il quale andrebbe rispolverata l’Iniziativa di Pace Araba per raggiungere una pace “durevole e giusta in Palestina, in modo da averla nel resto della regione”.

Ora spetta alla stessa leadership dell’Anp stabilire i tempi e i modi dell’attuazione delle direttive dell’Olp. E secondo fonti palestinesi – citate dai media israeliani – gli Usa avrebbero già messo in guardia Abu Mazen dal prendere decisioni importanti prima delle imminenti elezioni in Israele. Il documento di stasera appare comunque destinato a suggellare una fase di escalation, già segnata – dopo il rifiuto del governo Netanyahu di congelare le colonie nei Territori e l’interruzione dei negoziati sponsorizzati dagli Usa – dalla battaglia diplomatica sul riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’assemblea generale dell’Onu. Seguita dall’annuncio di un ricorso palestinese alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja contro crimini di guerra imputati a Israele e dalla ritorsione del governo Netanyahu con il blocco dei trasferimento dei dazi doganali raccolti per conto dell’Anp.

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