“Abbiamo cercato, io, gli altri autori con cui ho avuto il piacere di collaborare per questo album, i miei musicisti, di partire dalle ritmiche, esattamente come ha fatto in tanti lavori Paul Simon. Ci siamo ritrovati in studio, basso e batteria pronti a creare le basi, e noi li a scriverci sopra, in presa diretta. Nello stesso giorno in cui i brani sono stati scritti sono stati incisi.”

A parlare è Jack Savoretti, cantautore inglese di nascita, italiano di origini, a Milano per la presentazione del suo quarto lavoro di studio, Written in scars. Un album atteso dalla critica, sicuramente, che sin da subito ne ha apprezzato la scrittura e la voce scura e graffiata, nella tradizione di certi cantautori/rocker, e ora anche dal pubblico, in crescita costante anche nel nostro paese, anche grazie alla vicinanza con artisti come Zibba e soprattutto Elisa, con cui ha condiviso il palco in alcune occasioni.

Written in scars, si diceva. Un album intenso, questa la parola giusta. Scritto con l’ausilio di autori pesanti, come Sam Dixon, già al fianco di mostri sacri come Adele e Sia, e di Matt Benbrook, al secolo il batterista dei Faithless, un artista sghembo o, per dirla con le parole dello stesso Savoretti, Bohemien, oltre che del sodale Pedro Vito, chitarrista della sua band. “Sembra strano, ma quando uno è costantemente in tour scrive poco o niente. Non c’è tempo, perché nonostante nell’immaginario il tempo nel tour bus viene passato imbracciando la chitarra, componendo coi ragazzi della band, nella realtà è già una fortuna se si dorme, sballottati tra una data e l’altra, tra la promozione e tutto quel che succede quando si suona in giro”.

Jack Savoretti parla italiano, ma canta in inglese, è lui stesso a spiegare il perché, quando ci dice che nonostante ami molto farsi influenzare e contaminare dalle musiche dei cantautori italiani, su tutti De Andrè, di cui cita a proposito Crueza de ma e Anime salve proprio per quella ricerca sonora alla Paul Simon già menzionato prima, e Lucio Battisti, ben presente in certe costruzioni di accordi alla chitarra, ritiene non sia possibile usare l’italiano per una musica come la sua. Le nostre, spiega, sono parole spesso lunghe, poetiche ma con una sonorità che mal si addice a una musica che invece è più ritmica. Spesso, aggiunge, canzoni che trasmettono emozioni in inglese, a leggere i testi, dicono poco o nulla, demandando alla canzone nella sua completezza il compito di farci arrivare qualcosa, con l’italiano è diverso, perché la nostra è una lingua che comunica in sé.

L’album si compone di undici canzoni, compresa una cover di Bob Dylan, Nobody ‘cept you, brano raro trovato nello studio di Jackson Browne, collezionista di chicche dylaniane da quando, anni fa, l’ha accompagnato in tour in Gran Bretagna. Savoretti stavolta ha fatto un album con ottime possibilità commerciali, e guarda con sicurezza al futuro prossimo, che lo vedrà impegnato in un tour britannico, prima, e italiano poi, a aprile, dopo una data zero al Flog di Firenze domani. Un’ultima battuta sul derby della Lanterna, lui tifoso genoano per parte di padre: “Mi sembra un buon segno che il mio album esca nel giorno del derby, casualmente”. Ce lo auguriamo tutti.

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