Angelo Vassallo, sindaco di Pollica (Salerno), ucciso in circostanze ancora da chiarire, il 4 settembre 2010 (nella foto, una manifestazione in suo onore). Laura Prati, sindaco di Cardano al Campo (Varese), morta il 10 settembre 2013, dopo che un ex poliziotto locale sospeso dal servizio le ha sparato. Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria, freddato il 16 ottobre 2005 in un seggio di Locri, nel giorno in cui si votavano le primarie dell’Unione: cinque colpi di pistola messi a segno da un killer della ‘ndrangheta. Sono solo tre nomi di amministratori locali uccisi negli ultimi dieci anni per un “no” di troppo, per essersi dimostrati inavvicinabili o per un semplice diverbio.

L’elenco è più lungo. Scivola lontano nel tempo. E l’assassinio è solo l’epilogo che fa “più notizia”. Ma ci sono anche gli spari contro le abitazioni. I proiettili inviati a casa o in ufficio. Le minacce ai familiari. Le auto incendiate. I silenzi al telefono. Solo nel 2013 sono stati 870 gli episodi di violenza contro primi cittadini, consiglieri comunali, assessori e semplici dipendenti pubblici. Al Sud come al Nord, senza distinzioni. Il dato è in crescita. I primi quattro mesi del 2014 non fanno ben sperare: 395 intimidazioni. In tutto, 1.265 in sedici mesi. In media, 2,6 denunce ogni giorno.

L’istantanea è scattata dalla Commissione d’inchiesta straordinaria del Senato sul “Fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali”, la cui relazione è stata presentata oggi dalla presidente Doris Lo Moro (Pd) ed è stata approvata all’unanimità. Dieci mesi di lavoro, nei quali sono state raccolte testimonianze, segnalazioni, denunce e inchieste. Tutto contenuto in 200 pagine, all’interno delle quali sono state messe nero su bianco le parole di magistrati, prefetti, appartenenti alle forze dell’ordine, delle stesse vittime e dei familiari di chi non c’è più.

L’affresco che emerge è inquietante. La maggior parte dei casi di intimidazione si registra in Campania, Calabria e Sicilia. Ma il fenomeno si allarga anche a Puglia, Lazio e Sardegna. E non risparmia nemmeno Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte. Va meglio in di Friuli Venezia Giulia, Trentino e Molise dove non si sono registrate minacce. I comuni interessati sono l’8 per cento: piccoli centri, ma anche grandi città. Le figure più bersagliate sono i sindaci (35 per cento), assessori e consiglieri comunali (entrambi 17 per cento). E se una volta a minacciare e a intimidire erano soprattutto le organizzazioni criminali – che comunque agiscono il 13,7 per cento delle volte – adesso, la maggior parte degli episodi nasce dalla disperazione di persone disagiate, convinte di aver subito torti e che pretendono risposte immediate dai rappresentanti dello Stato che stanno sul territorio. Un’esasperazione che – in alcuni casi – nasce anche dalla cattiva gestione della politica.

Pierpaolo Romani, consulente a titolo gratuito della Commissione e coordinatore nazionale di Avviso Pubblico – rete di enti locali che dal 2010 fa da collante con gli amministratori pubblici nella lotta contro le mafie – sottolinea a ilfattoquotidiano.it l’importanza della relazione: “E’ la prima volta che il Parlamento accende un faro su un fenomeno che finora è passato sotto silenzio ed è stato largamente sottovalutato, e questo è stato possibile grazie al contributo della nostra associazione che da tre anni stila il rapporto ‘Amministratori sotto tiro’. Il lavoro restituisce con precisione un concetto fondamentale: le intimidazioni sono contro gli amministratori per bene, quelli che non si piegano a nessun volere. Solo in minima parte entra nel mirino chi non ha rispettato gli accordi. Questo per dire che non tutta la politica è uguale. Quello che ci preoccupa, però, è l’estensione del fenomeno al Nord. E non bisogna sottovalutare il dato sulle intimidazioni da parte delle mafie che esistono, agiscono nell’ombra, ma sono presenti, soltanto che alla violenza preferiscono la mazzetta”.

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