Quel tiro di Pirlo che brucia l’erba e fa esplodere lo Juventus Stadium è stato l’ennesimo finale amaro. Immeritato e beffardo, valeva la terza sconfitta consecutiva e inchiodava il Torino a quota 12 punti. Appena due in più del Chievo, terzultimo. Era il 30 novembre. Poteva essere una botta tremenda, il calcione alla fiducia di un gruppo che in estate aveva perso Alessio Cerci e Ciro Immobile, simbolo della cavalcata conclusa in Europa a maggio della scorsa stagione. Poteva, ma non è stato. Dal derby in poi il Torino non ha più perso. Dodici risultati utili consecutivi in Serie A, sei pareggi e altrettante vittorie. L’ultima, inaspettata, contro il Napoli ha consegnato il settimo posto in classifica e piazzato i granata in testa alla classifica dell’anno solare: nel 2015 nessuno ha fatto meglio. E la striscia senza macchia si allunga fino a quindici partite contando l’Europa League. Dove forse il passo della squadra di Giampiero Ventura è ancora più incredibile. Si è qualificata agli ottavi, facendo fuori l’Athletic Bilbao grazie a una storica vittoria al San Mamés, cattedrale laica del club basco fino a giovedì scorso inviolata da un club italiano.

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Sembrava uno scoglio insormontabile, è diventato un avversario qualunque. Tanto che ora non fa paura anche lo Zenit San Pietroburgo, prossimo avversario foraggiato dal gigante del gas Gazprom. Milioni di petrodollari, ciò che i granata non hanno. Urbano Cairo non ha mai pensato a una spesa folle, anzi ha fatto cassa quando qualcuno bussava alle porte del Torino. Una gestione che ha spesso scatenato le ire e l’invettiva della tifoseria. “Ma oggi come ai miei tempi i giocatori vengono ceduti per rispettare il bilancio, l’avversario più temibile che ho affrontato guidando il Toro. Non dovevi batterlo, bastava pareggiare. Era dura però, eh…”, scherza Emiliano Mondonico. Il tecnico di Rivolta d’Adda è stato l’allenatore dell’ultimo Torino di livello europeo. Quello della finale di Coppa Uefa persa contro l’Ajax nel 1992, capace di vincere la Coppa Italia l’anno seguente. Enzo Scifo, Martin Vazquez, Luca Marchegiani e i primi passi di Christian Vieri. “Quel Toro ha avuto la forza per arrivare in finale. Non l’abbiamo vinta. Ma, tornati da Amsterdam senza il trofeo, la domenica successiva vincemmo a Bergamo prendendoci il terzo posto. Era una squadra con grandi qualità, che oggi rivedo nei ragazzi di Ventura”.

Ripartire, ignorare le avversità, anzi compattarsi nei momenti più duri, sono elementi costituenti del dna granata. Quello che Ventura sta facendo sulla panchina del Torino aderisce perfettamente allo stile e ai momenti più belli della storia del club. Lo ha preso in B nel 2010, portandolo lontano con il lavoro e zero appariscenza. Ha firmato l’esplosione di Cerci e Immobile, valorizzato Ogbonna, creduto in Darmian e ora sta lucidando carriere che sembravano destinate al ribasso. “Come ci si sente a scrivere una pagina così importante nel libro del Toro? Questo vorrei chiedere a Ventura, ma poi nelle trasmissioni siamo sempre in tanti e non faccio in tempo. Perché ci sono stati tanti Torino dei quali si ricorda poco o niente, questo invece sta entrando nella storia – spiega Mondonico – Non è facile, la loro è unica e difficile da arricchire. Invece il libro, finalmente dopo venticinque anni, si è riaperto. Ed è destinato ad arricchirsi con questo capitolo”.

Non ha vinto nulla, ancora. Ma l’entusiasmo del pubblico e notti come quelle del San Mamés sono il sintomo di un letargo lungo e pesante ormai finito: “I protagonisti, da Cairo in giù, devono esserne entusiasti. Un conto è raccontare la storia, un altro è scriverla. Questo avvicina la stagione in corso alle mie di vent’anni fa. In mezzo nessuno ha scritto qualcosa, perché la storia del Toro appartiene ai suoi tifosi – racconta Mondonico – Sono loro che decidono chi fa parte del Toro e chi ha giocato solo nel Torino. Questo Torino è diventato Toro. È una storia affascinante che può diventare importante se raggiunge dei traguardi”.

Sono nel mirino i 57 punti dello scorso campionato ma i granata ci hanno preso gusto e guardano altrove, ora che nulla appare impossibile per gente che con Ventura è partita dalla B, come Darmian e il capitano goleador Glik, il difensore con più reti realizzate (sei) in tutti i campionati europei. “Mi auguro che possano nuovamente qualificarsi per l’Europa League, magari senza preliminare e proseguire il sogno di questa edizione fino a Varsavia. Giovedì scorso l’Athletic ha preso i pali, il Torino ha vinto. Ad Amsterdam successe il contrario, magari la storia sta cambiando”, scherza Mondonico prima di tornare serio. “Vedete, quando ci allenavamo al Filadelfia avevamo sempre la collina di Superga davanti agli occhi. Era difficile anche solo pensare di poter essere invincibili come il Grande Torino – ricorda – Però abbiamo dato tutto perché fossero orgogliosi di quel che stavamo facendo. E forse ci siamo riusciti, ora tocca a loro”. Poi tornerà l’estate e ricomincerà la partita contro il bilancio. Quale giocatore non dovrebbe mai essere ceduto? “In questo momento parlare dei singoli vorrebbe dire non mettere in rilievo la squadra. Il Toro vince grazie al gruppo, è una sua prerogativa. Ecco perché anche se qualcuno decide di andar via, la scorza dura di questa squadra resta sempre la stessa”.

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