I colossi del petrolio e dell’elettricità brindano, il governo studia le contromisure contro il buco di bilancio, i consumatori rimangono con l’amaro in bocca e chiedono gli arretrati. Sono questi gli effetti della decisione della Corte Costituzionale di abrogare la Robin tax, la tassa sulle imprese energetiche introdotta nel 2008 dal governo Berlusconi. L’idea dell’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, era quella di fronteggiare la crisi economica “togliendo ai ricchi e donando ai poveri”, proprio come l’eroe popolare inglese Robin Hood. Di qui il nome dell’addizionale di 6,5 punti sull’aliquota Ires.

Nel 2011 è stata però sollevata una questione di illegittimità dalla Commissione tributaria provinciale dell’Emilia Romagna, che aveva accolto il ricorso del gestore di una rete di carburanti, la Scat Punti Vendita. Secondo la Commissione la Robin tax violava il principio di capacità contributiva penalizzando tutte le imprese del settore. E la Consulta ora le ha dato ragione.

Aziende più ricche di prima – “Giustizia è fatta”, hanno detto in coro tutte le associazioni del settore (tra i primi, Assoelettrica, Assopetroli, Anev, Federutility e Unione Petrolifera). Secondo i big dell’energia, grazie all’eliminazione della tassa i bilanci delle aziende saranno meno aggravati e gli investimenti potranno ripartire.

La Robin tax ha colpito le imprese che operano in tre settori: ricerca e coltivazione di idrocarburi, raffinazione di petrolio, produzione o commercializzazione di benzine e gas, produzione e distribuzione di energia elettrica, anche da fonti rinnovabili. A festeggiare sono ora 450 società: dai colossi Enel, Snam e Terna alle ex municipalizzate, fino a utility e società petrolifere più piccole. In totale sono stati versati negli ultimi sei anni quasi 7 miliardi di euro. Enel ha pagato oltre 2 miliardi di euro, Snam circa 600 milioni e Terna oltre 300. Solo nel 2013 Enel ha versato 369,89 milioni, Snam 151,64 milioni, Terna 97,87 milioni, Shell 93,85 milioni, Eni 41,31, Edison 40,8. La cancellazione della Robin Tax perciò avrà effetti notevoli sui conti di queste società.

Gli amministratori delegati di Snam e Terna, proprietarie della gran parte dei gasdotti e degli elettrodotti italiani, già hanno fatto i conti: l’impatto positivo sull’utile netto del 2015 sarà per Snam di 90 milioni circa e per Terna di 50 milioni. “Per quanto riguarda Snam, la cancellazione dell’addizionale pari al 6,5% avrà un’incidenza di circa 90 milioni sul netto annuo. Siamo molto cauti e struttureremo il nostro capitale in modo tale da poter fare investimenti e dividendi senza rischi, senza aspettare fattori esterni”, ha detto l’ad di Snam, Carlo Malacarne. Per l’ad di Terna Matteo Del Fante, “quello che è emerso dagli analisti, in linea con le nostre valutazioni, è un impatto di circa 50 milioni di euro l’anno su base utile netto, pari a circa il 10% di incremento della bottom line”.

Anche Credit Suisse rivede le stime sugli utili delle principali utility italiane: “Un provvedimento positivo per il settore, sebbene già riflesso nelle attuali valutazioni di Borsa”. Gli analisti individuano in Terna, Snam ed Enel i maggiori beneficiari della sentenza. Per Terna l’utile per azione viene rivisto al rialzo dell’11% per il 2015 e del 4,8% per il 2016, per Snam dell’8,9% e del 2% e per Enel del 6,4% e del 2%. Equita stima anche gli effetti sulle municipalizzate: gli impatti più rilevanti sono per Iren, che vedrà gli utili salire del 10%, e per A2A, +7%. Per Acea l’impatto previsto è del 5-6%, per Hera intorno al 3 per cento.

Lo Stato con il cerino in mano – Nel bilancio pubblico si crea però, specularmente, un grosso buco, difficile da colmare: si parla di circa un miliardo di euro l’anno. La decisione della Corte Costituzionale comporta una “obiettiva difficoltà” per il “venir meno di un gettito cospicuo”, ha detto il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando. Al Tesoro stanno quindi studiando soluzioni alternative e il timore che sorge è che a questo punto vengano colpiti i consumatori. La Consulta ha cercato per altro di limitare i danni, non rendendo retroattiva la sentenza. Restituire gli importi incassati determinerebbe per lo Stato “una grave violazione dell’equilibro di bilancio”, recita la sentenza. “Credo sia la prima volta che la Consulta si fa carico della possibile violazione dell’articolo 81 della Costituzione derivante da una sua decisione. In precedenza le sentenze sono state sempre additive, senza alcuna preoccupazione per gli effetti sul bilancio”, ha commentato Morando.

E i consumatori temono di non vedere vantaggi – La legge che ha introdotto la Robin tax vietava di scaricare i maggiori costi per le aziende sulle bollette di luce e gas. A questo proposito aveva attribuito all’Autorità per l’energia il compito di vigilare. Il sospetto però è che le cose in questi anni siano andate diversamente. Il Codacons ricorda come un’analisi dell’Autorità per l’energia abbia fatto emergere indizi su 144 operatori che nel 2011 avrebbero traslato l’addizionale Ires nella bolletta delle famiglie. Secondo i calcoli dell’Aeegsi, i prezzi di luce e gas sarebbero così saliti di 508 milioni di euro nel 2011 e 42,3 milioni nel 2010. L’associazione chiede quindi all’Autorità di rendere pubblici i provvedimenti adottati tra il 2008 e oggi nei confronti degli operatori energetici e del petrolio in merito alle irregolarità riscontrate.

Quanto al futuro, per i consumatori la decisione della Consulta sarà positiva soltanto se produrrà una riduzione del costo della bolletta. “Non vorremmo che come al solito si togliessero tasse a carico delle aziende, ma i costi a carico dei redditi delle famiglie restassero immutati o peggio aumentassero”, avverte Adiconsum.

Articolo Precedente

Falso in bilancio, lo scontro a distanza tra Confindustria e l’ambasciatore Usa

next
Articolo Successivo

Veneto Banca, Standard & Poor’s scopre solo ora i guai della popolare

next