“Li incontravo sui piazzali delle aziende, mi raccontavano che erano stati denunciati e i loro furgoni sequestrati. Dovevano mettersi in regola, ma sarebbe costato troppo”. Mauro Fedele, 56 anni, è il direttore del Consorzio Equo, nato un anno fa a Leinì, in provincia di Torino, che raggruppa soci rom e italiani. Un esempio unico in Italia di integrazione tra le due culture. È formato da sette cooperative sociali, con sede in Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Umbria, Toscana e Marche, che si occupano della raccolta porta a porta di ferro e altri metalli (come alluminio, bronzo, ottone, rame), cavi, scarti industriali. I clienti sono privati che chiedono di ripulire garage, cantine, solai. Oppure officine, fabbriche, cascine.

“È un’attività che i nomadi hanno sempre svolto per tradizione – racconta Mauro -. Ci sanno fare, nessuno li batte sul mercato, e poi conoscono così bene il territorio che sanno già da chi andare a ritirare i rifiuti”. Il consorzio è partito a fine dicembre 2013 con 20 camioncini e 30 soci, la maggioranza di etnia rom e sinta. Incluse tante donne. In un anno i numeri sono cresciuti di otto volte. “Oggi siamo in 250 soci e disponiamo di 163 mezzi” dichiara il direttore. Uno sviluppo a tempi record grazie al passaparola. “Non abbiamo messo annunci sui giornali, agenzie, siti web. Sarebbe stato inutile. Devono innanzitutto fidarsi di me e degli altri colleghi italiani”. Perché il pregiudizio è reciproco. “Non siamo soltanto noi a essere diffidenti verso di loro  – sottolinea –, anche loro sono resistenti verso di noi, pensano che vogliamo fregarli”. L’associazione italiana zingari oggi (Aizo) è stato un tramite importante. Chi non conosceva direttamente il signor Mauro, ha chiesto consiglio a Carla Osella, presidente di Aizo, o a uno degli operatori che frequenta settimanalmente i campi nomadi.

“È un’attività che i nomadi hanno sempre svolto per tradizione – racconta Mauro -. Ci sanno fare, nessuno li batte sul mercato”

A lui gli amici ripetono che è matto ad avventurarsi in un’impresa del genere. E che se qualcosa va male se l’è cercata. Ma come gli è venuto in mente? “Ero un consulente ambientale, seguivo soprattutto rottamai, che comprano il ferro dai nomadi. Dal 2006 le norme ambientali sono diventate più severe. L’Unione europea ha imposto la tracciabilità del rifiuto e un’autorizzazione speciale per chi lo ritira, una fideiussione di nove mila euro per il primo mezzo, di cinque mila per gli altri, un responsabile tecnico, un esperto di leggi ambientali. Loro da soli non ce l’avrebbero mai fatta. Così ho pensato di mettere in piedi il consorzio e dare una mano a loro e agli italiani disoccupati. La crisi ci ha uniti”. La quota di ingresso è di cento euro. Il consorzio guadagna il dieci per cento sul materiale ritirato. Il fatturato al mese è passato dai 20mila euro del gennaio 2014 ai 170mila euro di dicembre. E ogni socio porta a casa dai mille ai duemila euro mensili.

Sembra un miracolo. E per questo nessuno ci crede. “Le forze dell’ordine bloccano i furgoncini tutti i giorni, controllano se hanno i documenti. Capita che i rom e i sinti finiscano in questura per eliminare ogni dubbio, è strano per carabinieri che sia tutto ok. In quel caso intervengo io o il nostro avvocato per confermare che lavorano con noi, che siamo una squadra. Mi creda, è umiliante”. Coinvolgerli non è stato sempre facile. “Ho detto loro, il mondo sta cambiando, se volete approfittarne la cooperativa è la soluzione, però bisogna fare dei sacrifici”. Hanno dovuto rivoluzionare la mentalità. “Non potevano più lavorare in nero come prima. Avrebbero dovuto rispettare delle regole precise”.

“Le forze dell’ordine bloccano i furgoncini tutti i giorni, controllano se hanno i documenti. Capita che i rom e i sinti finiscano in questura. E’ strano per carabinieri che sia tutto ok”

Compilare ogni volta dei moduli, sui cui indicare provenienza e tipologia del materiale, selezionare la merce (“per esempio, noi le batterie non possiamo ritirarle”) e altri cavilli. Alcuni non sapevano scrivere bene. “Allora siamo andati nei campi per dare lezioni di italiano e spiegare come riempire il formulario. Così ascoltava anche la moglie o la mamma. Le donne si danno parecchio da fare, spronano gli uomini, li aiutano. In questo modo, hanno capito che ero un amico, che di me potevano fidarsi. Invitarli in ufficio o in un bar non avrebbe funzionato”. Le new entry i primi mesi possono contare sull’aiuto dei più esperti, “basta una telefonata, siamo sempre a disposizione”. I soci di etnia rom e sinta si sono messi alla prova anche quando hanno deciso di cedere il loro furgone alla cooperativa. “E’ un passaggio necessario per ricevere l’autorizzazione per la raccolta dei rifiuti”.

Savio Dubois, 64 anni, sinto, è stato uno dei primi che ha aderito all’iniziativa. Lui viene da Mondovì, nel cuneese, è italiano da sette generazioni, e vive in un appartamento. “Da quando avevo 12 anni ho fatto il giostraio con mio padre, nel 1982 ho smesso e ho iniziato a raccogliere il ferro porta a porta, come i miei cugini. Ho provato a cercare altri lavori, ma i gagè (chi non è zingaro, in questo caso gli italiani, ndr) si inventavano sempre delle scuse perché mi temevano. Capita anche quando vado dal meccanico, non è che si rifiuta di ripararmi l’auto, dice che non ha tempo”. La cooperativa è stata un sogno a occhi aperti. “Mauro l’ho conosciuto tramite un cugino. Adesso è come uno di famiglia. Sono riuscito a tirare dentro la cooperativa altri parenti”.

Le cooperative del Consorzio equo per una trentina di persone sono un’alternativa alla pena in carcere

Ileana Halilovic, invece, è una donna rom di 33 anni. Madre di sette figli, in attesa dell’ottavo. Abita a Torino, in una casa popolare da 13 anni, prima in una roulotte nel campo nomadi. Ha solo la licenza media. “Ho sempre raccolto il ferro in giro, in nero. Anche oggi, che lavoro per la cooperativa, incontro italiani sospettosi, che mi danno un secchio di ferro senza pagarmi, perché non vogliono avere a che fare con noi, pensano tutti che rubiamo”. L’incontro con Mauro è avvenuto attraverso un demolitore, un suo cliente. “Non potevo più lavorare. Mi avevano denunciato e mi avevano sequestrato il camion perché trasportavo 300 chili di ferro senza autorizzazione”.

Ileana, come suo marito, è nata in Italia ma non ha la cittadinanza. “Solo un permesso di soggiorno che scade ogni due anni. Mia madre, bosniaca, da 45 anni qui, è da sette che aspetta la cittadinanza”. I rom e i sinti (160mila persone nel nostro Paese) sono una minoranza linguistico-culturale non ancora riconosciuta giuridicamente dallo Stato italiano. Per la prima volta questa comunità sta raccogliendo le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che li trasformi in soggetti titolari di diritti.

Le cooperative del Consorzio equo per una trentina di persone sono un’alternativa alla pena in carcere. “Solo un ragazzo ha tentato di scappare e lo hanno arrestato di nuovo”. Mauro ha altri progetti in cantiere. “Allargare la raccolta agli oli esausti domestici, quelli che si usano in padella per friggere, che possono essere riciclati come combustibile, e avviare alcune cooperative alla trasformazione del rifiuto”.

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