Cresce il clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, si legge oggi su tutti i giornali. Siamo oltre il diluvio?Può darsi, ma non è una sorpresa per chi nell’ultimo anno ha mandato in esplorazione quella strana colomba delle condizioni sociali del Paese che è costituita dall’andamento degli ascolti della tv. Della tv nel suo complesso, intendiamo, non di questo o quel programma in particolare. Perché la faccenda sta così: la società peggio sta più televisione vede, perché non può permettersi dell’altro. Semplice, intuitivo.

E allora è già dal febbraio del 2014 che segnaliamo che quella platea si è ristretta su una media inferiore ai 26 milioni di spettatori, ben al di sotto del picco di 27 milioni raggiunto nel febbraio del 2012, quando avevamo appena cominciato i compiti a casa in stile Monti e stava montando il dramma sociale degli esodati a seguito della precipitosa (ma vai a dargli torto, vista l’aria di bancarotta allora imminente) riforma delle pensioni…

E ovvio che della correlazione inversa fra lo stato dell’economia e il livello dell’ascolto non si parli granché, neppure tra gli addetti ai lavori (autori dei programmi, critici dei medesimi, volonterosi impegnati nel controllo del buoncostume) perché è molto più appagante pensare che i programmi abbiano il pubblico che meritano anziché quello che trovano.

Eppure in partenza le cose è proprio così che stanno: non si sta a casa per vedere la tv, ma si vede la tv se si sta a casa. Poi, una volta che siamo sprofondati in poltrona e col telecomando in mano, è ovvio che ci soffermiamo su quel che più ci aggrada, facendo (se siamo parte del campione Auditel) la fortuna degli uni e la disgrazia degli altri. Ma al fondo, davanti alla televisione ci stiamo per passare il tempo che non sappiamo come trascorrere o altrove o facendo dell’altro.

Per questo l’allentarsi della crisi spinge fuori casa i fortunati che per primi si ritrovano gli spiccioli da spendere dopo il periodo di bolletta. E qualcosa nelle tasche pare che stia arrivando, e ben distribuito in tutta Italia, con un solo pesante punto nero: la Sardegna, dove la platea della tv si allarga e, supponiamo, quella della disoccupazione pure. E dove Rai Uno, da vera Arca di Noè, costituisce il rifugio dei più, col 25% della media degli ascoltatori. Seguita da Canale 5 col 20% (entrambe al di sopra della media nazionale) mentre le reti più “politiche” visto il genere dei programmi prevalenti, vengono accantonate al di sotto della media nazionale.

Ma come, si domanderà ora qualcuno, gli italiani peggio stanno e meno si incazzano? Chi lo sa? Magari tutto si spiega col fatto che dove i problemi li conosci direttamente non ti viene quella gran voglia di sentirteli rifriggere da altri seduti nelle poltrone frau.

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