Telecom Italia è in affanno. I numeri dell’ex monopolista rallentano, il piano Metroweb è al palo, l’azionariato è in evoluzione e l’azienda è in piena ristrutturazione. Prova ne è, se mai ce ne fosse stato bisogno, il fatto che la società ha annunciato il collocamento in Borsa delle torri della controllata Inwit e il ritiro dal listino di Telecom Italia Media, operatore digitale terrestre che è in affari con gruppo Espresso della famiglia De Benedetti. A giugno poi, salvo colpi di scena, verranno anche separate dal gruppo le attività di call center che danno lavoro a 9mila persone e saranno chiusi 19 centri. Contemporaneamente la società tornerà ad assumere. “Non è questione di soddisfare il Paese o i politici”, ha detto l’amministratore delegato Marco Patuano, ma di ringiovanire lo staff di Telecom. Tanto più che l’assunzione di 4mila giovani sarà fatta sfruttando i benefici introdotti dal Jobs Act per i neo assunto, che dovrebbero portare risparmi per circa 100 milioni. E a scapito del fatto i lavoratori Telecom siano in solidarietà da oramai 4 anni.

Intanto, nella presentazione londinese del piano industriale 2015-2017, Patuano, che ha rinviato al consiglio di amministrazione del 19 marzo la decisione sullo stacco di una eventuale cedola ai soci, ha evidenziato che il gruppo continuerà ad investire nonostante la flessione del fatturato (-7,8% a 21,57 miliardi) e il calo del margine lordo (-7,9% a 8,7 miliardi). In Italia gli investimenti ammonteranno complessivamente a dieci miliardi. Solo tre miliardi però saranno destinati allo sviluppo della fibra ottica con appena 500 milioni dedicati alla tecnologia fiber to the home, ovvero la fibra fino a casa dell’utente finale. “Con questo investimento copriremo 40 città italiane”, ha spiegato il manager. Ma come è possibile che una cifra così bassa sia sufficiente ad ottenere un risultato così importante? “Innanzitutto quando si parla di copertura, si tratta di una copertura selettiva, non del 100% dell’area metropolitana”. E poi c’è il fatto che “il nostro punto di vista è sempre diverso da quello di qualsiasi altro operatore dal momento che noi abbiamo già la fibra – ha aggiunto – Questo investimento ci permetterà di raggiungere un milione di clienti in più rispetto al piano precedente”.

Telecom del resto è il monopolista della rete in rame, una posizione dominante che rende necessari investimenti inferiori rispetto a quelli degli altri operatori per lo sviluppo della banda larga. Discorso che vale anche per le aree del Sud dove Telecom si è aggiudicata tutte le gare indette dall’azienda pubblica Infratel. Patuano avrebbe voluto inglobare anche Metroweb, la società milanese della fibra che è controllata dal fondo infrastrutturale F2i e dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ma poi ha gettato la spugna, complice probabilmente la nota avversità all’operazione del presidente della Cdp, Franco Bassanini. “Discutere le questioni industriali sotto i riflettori e al centro di tanto rumore non aiuta”, ha spiegato Patuano agli analisti che chiedevano aggiornamenti sul dossier Metroweb. ”Abbiamo detto che a certe condizioni avremmo potuto essere interessati. Quando abbiamo iniziato ad avvicinarci a Metroweb, non si sapeva neanche cosa fosse – ha aggiunto – Poi improvvisamente è diventata la sposa perfetta”. Il riferimento indiretto è alla rivale Vodafone che pure ha presentato una manifestazione di interesse per l’azienda milanese e che ha depositato un esposto all’Antitrust sull’ipotesi di nozze Metroweb-Telecom. Un brutto colpo per l’ex monopolista che, gravato da un indebitamento finanziario netto da 26,7 miliardi, ha bisogno di trovare nuove opportunità di crescita. Lo sviluppo della fibra in Italia è certamente un’occasione che Telecom non può lasciarsi sfuggire. Per questo Patuano non esclude ritorni di fiamma su Metroweb. Il finale però lo scriverà il governo Renzi che, dopo un recente scontro interno, sembra ora orientato a difendere un progetto in cui lo Stato abbia un ruolo rilevante.

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