“Ci sono le torture e le crocifissioni. I bambini decapitati e sepolti vivi. L’Isis non è l’Islam. Abbiamo paura in questo periodo, noi musulmani. Paura di essere confusi”. Lo dice Housam Najjair, ex foreign fighter di religione islamica e nazionalità irlandese, reduce dai combattimenti in Libia nel 2011 (era nel gruppo che ha assaltato il compound di Gheddafi) e in Siria nel 2012 contro Bashar Al-Assad.

Lui è l’ospite d’onore della serata “Je suis Charlie. E dopo?” organizzato dal teatro Stabile del Veneto, con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, la Fondazione Musei Civici, il conservatorio Benedetto Marcello e la Fondazione Oasis. Per lui il teatro è blindato, l’ingresso controllato al millimetro, i palchetti inaccessibili e controllati a vista dalle forze dell’ordine. Fuori un gruppo nutrito di cittadini ha dimenticato di lasciare le generalità per mail (era obbligatorio per partecipare) e le persone in coda vengono controllate una ad una. Sono state attivate le misure di sicurezza anti terrorismo, nei giorni scorsi e si vede.

“Venezia per secoli è stata scambio di culture – dice Beppe Gioia vicedirettore del Tgr che conduce la serata– tocca a Venezia dunque la responsabilità di provare a comprendere. Vogliamo capire come si fa ad andare avanti dopo il sangue e il dolore. Dopo Charlie a Parigi, dopo Copenaghen. A rispondere ci provano gli ospiti. Housam Najjair, ma anche a Padre Samir Khalil Samir, teologo gesuita, esperto del rapporto tra Occidente e Adnane Mokrani, docente dell’università gregoriana.

“La dittatura e il terrorismo sono la stessa cosa – dice Mokrani – il terrorismo è una dittatura dal basso. Solo con la libertà possiamo riformare il pensiero religioso. La democrazia, dunque, non è solo una necessità economica e politica ma anche una necessità religiosa”. Housam Najjair ha un viso da ragazzotto dublinese che tutto racconta tranne il suo passato da sniper. Sorride sul palco, vuole raccontarsi “Volete sapere perché un ragazzo parte per andare a combattere? Io ho deciso di non aspettare più una mattina in cui ho visto un gruppo di mercenari di Gheddafi che stupravano una donna libica – dice lui – ero in un internet café vicino a casa mia, stavo parlando con un mio amico della situazione. Poi lui mi ha mostrato quel video e la mia vita è cambiata”. Poi Housam Najjair è entrato nelle brigate. “Ho fatto di tutto per diventare un bravo soldato – dice – ero nella brigata che è entrata nel compound di Gheddafi quel 20 agosto. Non potrò mai dimenticarlo”. In platea c’è silenzio. Le persone rimangono in ascolto.

“Non si può prestare a Dio una volontà di violenza e non è legittimo dire difendo Dio con la violenza – dice Padre Samir Khalil Samir, teologo gesuita – Dio non ha bisogno di difesa. La violenza in nome di Dio è la peggiore violenza pensabile”. Ma non è l’unica. “Ci sono cittadini di serie A, di serie B ma anche di serie C – chiude Adnane Mokrani – e sono quelli di cui nessuno si occupa. Quelli oppressi dai dittatori. Non si possono condannare solo l’Isis e non le bombe della Nato”.

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