castello calatuboNelle diciotto sale del Museo archeologico regionale “Pietro Griffo”, in Contrada San Nicola di Agrigento, sono esposti più di 5600 reperti. Tra i quali spiccano la statua di Telamone proveniente dal tempio di Zeus olimpico e il cosiddetto Efebo di Agrigento, magnifico esempio dello stile severo nella variante locale. Oppure il Dinos con triskeles del VII secolo a.C. e il cratere a fondo bianco con Perseo e Andromeda datato al 430 circa a.C. Capolavori, questi ed altri, che rischiano di offuscare il molto altro presente. Accade così lo stesso per la Valle dei Templi di Agrigento e l’area archeologica di Himera, per i teatri greci di Taormina e Siracusa, più noti, che provocano quasi un cono d’ombra sulla miriade di aree archeologiche e monumenti disseminati da un capo all’altro della Sicilia. Ne provocano per certi versi, naturalmente in maniera inconsapevole, la lenta ma progressiva asfissia. Un fenomeno questo che continua a fare mostra di sé ovunque in Italia. Anche per questo motivo il censimento nazionale, che da sette anni il Fondo ambiente italiano porta avanti con Intesa San Paolo per promuovere la conoscenza dei luoghi del cuore, ha un indiscutibile pregio. Dare visibilità a luoghi che solitamente non l’hanno. Un drone che sorvola l’Italia permettendo di scoprire e, molto spesso, ri-scoprire, frammenti di Paesaggio altrimenti destinati all’oblio. Frequentemente ad una distruzione silenziosa. Comunque a rimanere patrimonio ignoto oltre confini ancora troppo stretti. Il caso della Sicilia, illuminante. Per la varietà tipologica, le diversità cronologiche. Per la capillarità delle testimonianze. Nella classifica 2014 ci sono al 179° posto il Teatro comunale di Siracusa, al 148° il castello Cupane di Acquedolci, nel messinese, al 140° la Fontana del Milite ignoto di Augusta, nel siracusano, al 74° il Castello Barresi di Pietraperzia, in provincia di Enna, al 49° il Santuario di Maria Santissima di Capo d’Orlando, in provincia di Messina, al 33° il Bastione degli Infetti, a Catania. Fino al gradino più alto raggiunto dall’isola. Il terzo posto del Castello di Calatubo di Alcamo, nel trapanese, la fortezza, non lontana all’autostrada A29, in posizione eminente, su un’altura, ma sostanzialmente sconosciuta. Un complesso sorto nel 1000, in un’area nella quale la frequentazione è attestata fin da età antica. Tuttavia né la posizione naturale privilegiata, né l’imponenza della struttura hanno contribuito alla sua tutela e alla sua valorizzazione. Nonostante i propositi del comune di Alcamo, che ne è diventato proprietario nel 2007, il castello continua ad essere interdetto alle visite e in uno stato di conservazione sempre più preoccupante. Anche a causa dell’uso improprio che se ne è fatto per diversi anni come recinto per animali, oltre che per alcuni scavi abusivi realizzati al suo interno alla ricerca di sepolture antiche. La Sicilia spedisce cartoline di quel che ha, elementi unici di quel che è. castello calatubo 1

Il Fai quindi continua a dare visibilità a luoghi, non solo straordinari, ma anche semplicemente normali che comunque costituiscono il tessuto connettivo italiano. Del Patrimonio diffuso, marginalizzato da politiche locali e nazionali, a lungo inadeguate. Peggio ancora, sfilacciate. Il drone del Fai continua a restituire frammenti, il più delle volte altrimenti ignoti. In alcuni casi riuscendo perfino a “salvare” alcuni dei luoghi individuati. Svolgendo quindi un’opera degnissima. Ma la gratitudine che si deve a questa operazione di salvataggio tentata da Fai e Intesa San Paolo non può far dimenticare le inefficienze della macchina statale dei Beni Culturali. Non può far sottacere l’incapacità, non solo determinata da risorse esigue, da parte da Direzioni Generali e Soprintendenze, quantomeno a far conoscere i propri Patrimoni diffusi.

Articolo Precedente

Burroughs “e compagni”: le lezioni illustri degli autori della beat generation

next
Articolo Successivo

Mondadori-Rcs libri, gli scrittori contro l’operazione. E Adelphi potrebbe defilarsi

next