Negli anni Sessanta è stato il tempio del beat italiano. Ha lanciato la cantante Patty Pravo e ha cresciuto artisti come Renato Zero e Loredana Bertè. Ha ospitato gli esordienti Pink Floyd, quando ancora erano sconosciuti, e anni dopo i Genesis, David Bowie, i Nirvana. E poi ha diffuso mode, tendenze e un nuovo modo di vivere la notte, raccogliendo le sollecitazioni provenienti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Si tratta del Piper Club di Roma, lo storico locale di via Tagliamento 9 che questa sera festeggia mezzo secolo di storia. Per l’occasione è stata organizzata una festa speciale all’insegna della musica e dei ricordi. Un evento gratuito che vedrà sfilare suoni e immagini d’epoca di quello che è il locale più longevo d’Europa insieme al Cavern di Liverpool. La direzione musicale della serata è affidata al Maestro Alberto Laurenti, leader dei Rumba de Mar e autore di canzoni per Gabriella Ferri, Renato Zero, Franco Califano, che sarà accompagnato da un’orchestra di 9 elementi ribattezzata per l’occasione Piper Beat Band. Lo spettacolo musicale, intitolato C’era una volta il Piper…, riproporrà il meglio del repertorio delle notti musicali vissute da migliaia di giovani tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo.

Si partirà proprio da quel 17 febbraio 1965, quando l’impresario Giancarlo Bornigia e l’avvocato Alberigo Crocetta realizzarono il sogno di inaugurare questo club in via Tagliamento 9. Certamente non immaginavano che sarebbe diventato un punto di riferimento per la musica italiana e non solo per quella. La linea artistica era ispirata al mondo del beat inglese e delle avanguardie culturali. Inizialmente pare che sui muri campeggiassero opere di Andy Warhol, di Rotella, Schifano, Rauchemberg e Piero Manzoni, ma poi furono vandalizzate e rimosse. La serata inaugurale vide esibirsi quattro ‘capelloni’ chiamati The Rokes, guidati da un indomito Shel Shapiro. A loro si affiancò l’Equipe 84, che si stava facendo strada nel beat italiano sotto la regia di Maurizio Vandelli e Victor Sogliani. Un’ondata di entusiasmo travolse il Piper. Su quel palco iniziarono a sfilare i migliori artisti del beat nazionale e internazionale: da Le Pecore Nere ai New Dada di Maurizio Arcieri, da I Delfini agli inglesi Bad Boys, arrivati in Italia proprio in quei giorni. Intorno al locale si attivò un movimento creativo impressionante.

C’era poi una ragazzina bionda, che aveva cominciato a cantare con lo pseudonimo di Guy Magenta. Ma il suo vero nome era Nicoletta Strambelli. Alberigo Crocetta la convinse a metter su una band beat tutta al femminile, che non era un granché a livello tecnico, ma possedeva un’energia travolgente e faceva scatenare la sala. Questa biondina aveva un fascino e un carisma unico. E in pochissimo tempo divenne Patty Pravo, ribattezzata “La ragazza del Piper”. Anche Caterina Caselli, che oggi è un’affermata discografica, mosse i primi passi da cantante nel locale di via Tagliamento, mentre dall’Inghilterra arrivarono i The Primitives con il loro cantante esile, ma dalla voce potentissima, di nome Mal. E poi i Procol Harum, i Birds, Rocky Roberts e i giovanissimi Pink Floyd, che suonarono il 18 e il 19 aprile 1968. Tra gli italiani si coprirono di gloria i New Trolls, Le Orme e i Pooh.

Il Piper divenne un fenomeno di costume, un punto di riferimento per artisti affermati o in erba. Nel giro di pochi anni tutti i personaggi della scena artistica romana cominciarono a frequentarlo. Divenne infatti il centro della vita mondana della Capitale. E intanto coltivava i talenti artistici di Renato Zero, Loredana Bertè, Gabriella Ferri, Rita Pavone, Mia Martini. Mentre rafforzava il successo di Romina Power, Fred Bongusto, Dik Dik e i Ricchi e Poveri. Nel corso degli anni Settanta approdarono poi sul palco del locale di via Tagliamento, divenuto prestigioso anche a livello internazionale, i Genesis, gli Sly and the Family Stone e grandi nomi del jazz come Lionel Hampton e Duke Ellington. Ma negli anni Ottanta la storia del club cominciò a prendere un’altra piega. Ci fu una virata verso l’house dance a scapito degli appuntamenti live, che però non furono del tutto messi da parte. Lo testimonia lo storico concerto dei Nirvana del 1989, quando un Kurt Cobain fuori di sé ruppe una chitarra e poi salì su una trave, minacciando di gettarsi di sotto. Stavano però per arrivare gli anni Novanta, quelli dell’esplosione dell’house e della tecno. Così il Piper seguì questa tendenza e divenne una discoteca a tutti gli effetti. Fu il periodo dei matinée, dei sabati e le domeniche pomeriggio in discoteca. Alla consolle passarono Claudio Coccoluto, Fargetta, Linus, Albertino. E andò così fino alla metà del decennio successivo, quando i figli di Giancarlo Bornigia hanno deciso di rilanciare la musica live, invitando a esibirsi artisti italiani e internazionali. I primi sono stati i Babyshambles di Pete Doherty, nuova anima ribelle del rock inglese. E poi Cat Power, Niccolo Fabi, Gianluca Grignani, Tiromancino, Giuliano Palma & Blue Beaters. Fino ad arrivare a questo 17 febbraio 2015, in cui il cerchio si chiude proprio sulle note di quell’indimenticabile stagione di fermento musicale che diede il via al mito del Piper. Tra nostalgia e fiducia che tempi così fertili possano ripetersi.

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