Arabia Saudita, Obama a Riyad: incontra il nuovo reSono passate quasi tre settimane da quando, il 29 gennaio, il nuovo re dell’Arabia Saudita Salman bin Abdul Aziz Al Saud ha annunciato la concessione di una grazia, rimandando ai criteri e alle condizioni definiti dal ministero dell’Interno.

Amnesty International ha esaminato il documento di tre pagine contenente quei criteri e quelle condizioni e teme che la maggior parte dei prigionieri di coscienza nelle carceri del paese non beneficerà della grazia, consistente nell’annullamento di eventuali multe e pene corporali e nella riduzione di un quarto della condanna se questa non supera i due anni, di metà se non supera i cinque anni e di due terzi negli altri casi.

Il documento del ministero dell’Interno esclude espressamente gli autori di “reati relativi alla sicurezza dello stato” (oltre che le persone giudicate colpevoli di altre 13 fattispecie di reato, tra cui traffico di droga, stupro, rapina a mano armata e banditismo).

La normativa vigente, compresa la nuova legge antiterrorismo del febbraio 2014, non descrive in modo chiaro e univoco quali azioni specifiche costituiscano “reati relativi alla sicurezza dello stato”, limitandosi a elencare una serie di attività: “rottura del vincolo di fedeltà e disobbedienza alla casa regnante”, “incitamento ai disordini mediante convocazione di manifestazioni”, “danno alla reputazione del regno”, “divulgazione di false informazioni a gruppi stranieri”, “fondazione o partecipazione alla fondazione di organizzazioni prive di autorizzazione”, “disturbo all’ordine pubblico”, “messa in pericolo dell’unità nazionale”, “opposizione alla legge fondamentale del governo o a suoi singoli articoli”.

Quasi tutti i prigionieri di coscienza adottati da Amnesty International – avvocati, attivisti per i diritti umani, blogger, sostenitori delle riforme di cui più volte abbiamo raccontato le storie in questo blog – sono stati condannati per tali “reati”, spesso a seguito di processi irregolari celebrati dal Tribunale penale speciale, l’unico cui vengono affidati i casi concernenti la sicurezza nazionale.

Dopo il rilascio, avvenuto venerdì scorso, di Loujain al-Hathloul and Maysaa al Ammoudi, due donne arrestate a dicembre per aver sfidato il divieto di guida, sono 12 i prigionieri di coscienza sauditi seguiti da Amnesty International: Suliaman al-Rashudi, Abdullah al-Hamid, Mohammed al-Qahtani, Abdulaziz al-Khodr, Mohammed al-Bajadi, Fowzan al-Harbi, Abdulrahman al-Hamid, Saleh al-Ashwan, Omar al-Sa’id, Fadhel al-Manasif, Waleed Abu al-Khair e il più noto di loro, Raif Badawi. Di tutti coloro, Amnesty International chiede alle autorità saudite l’immediata e incondizionata scarcerazione.

Data la vaga definizione dei reati riferiti alla sicurezza nazionale, non si può ipotizzare se le autorità giudiziarie o il ministero dell’Interno vi faranno rientrare o meno quello di “offesa all’Islam” per cui Raif Badawi è stato condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, da somministrare 50 alla volta per 20 settimane consecutive.

Dopo aver subito la prima serie di 50 frustate in piazza il 9 gennaio, venerdì scorso per la quinta volta consecutiva la sessione di frustate è stata sospesa.

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