Mille topi “da laboratorio” soppressi per mancanza di fondi e commesse. È accaduto nell’Istituto di ricerca Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro, in provincia di Chieti. La procura di Lanciano ha chiesto il rinvio a giudizio per Tommaso Pagliani, direttore amministrativo della Fondazione Negri Sud, con l’imputazione di “uccisione di animali senza necessità” (articolo 544 bis del Codice penale).

Da anni il centro di ricerca navigava in brutte acque, ma quando la situazione è diventata insostenibile, i primi a pagare sono stati i ratti. La crisi finanziaria della struttura ha investito prima i ricercatori, con licenziamenti e riduzione degli orari di lavoro, poi gli animali. Così per le cavie è stata messa in atto la soluzione definitiva. Il caso è scoppiato dopo la chiusura del laboratorio di Metabolismo Lipidico e Tumorale e il conseguente trasferimento a Bari del ricercatore che se ne occupava. Quest’ultimo avrebbe portato con sé in Puglia circa 800 topi usati per lo studio dei tumori. Altrettanti esemplari rimasero nello stabulario del Negri Sud, situato nei sotterranei degli edifici che sono sede della Fondazione. Dopo poco, venne dato l’ordine di uccidere le bestiole, soffocate col gas nelle loro stesse gabbie.

Secondo la procura, il direttore della Fondazione avrebbe disposto la soppressione di questi mille topi Mus Musculus “per contenere i costi della struttura”, non potendo utilizzarli o farli utilizzare per la ricerca. Lo stesso direttore, sentito allora dal Fatto, si era difeso affermando che “la decisione era scaturita dai costi elevati per la gestione, da obblighi di legge e indicazioni sanitarie, oltre che da questioni di opportunità: si trattava in gran parte di animali transgenici che potevano sviluppare tumori, la loro sopravvivenza all’esterno era qualcosa che non si poteva garantire”.

L’indagine è stata aperta a seguito della denuncia presentata dalla Lav, la Lega anti vivisezione. All’epoca dei fatti, tra i primi atti della procura ci fu il sequestro, primo caso in Italia, di 49 topi superstiti che vennero prima affidati alla Lav e in seguito alla Collina dei Conigli di Monza, associazione di volontariato per la cura e la riabilitazione di piccoli animali.
È proprio la Lav a spiegare che la legge deve essere rispettata anche in ambiti come la sperimentazione animale, così come è accaduto nel processo in difesa dei beagle di Green Hill (l’allevamento di cani destinati alla sperimentazione scientifica) che si è concluso a Brescia in primo grado con tre recenti condanne.

“Non ci sono zone franche”, affermano dalla Lav, “la norma comunitaria e nazionale, e la giurisprudenza, hanno ampiamente chiarito che tutti gli animali sono esseri senzienti e vanno curati e accuditi rispettandone l’etologia, indipendentemente dalla loro destinazione finale. Chiediamo quindi controlli qualificati nelle strutture che utilizzano animali per la sperimentazione, per evitare che casi analoghi si ripetano”. La Lav sottolinea poi come il 29 marzo 2014 sia entrato in vigore il Decreto legislativo 4 marzo 2014, n.26, in attuazione della direttiva dell’Unione Europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici: “Qualora la soppressione dei topi fosse avvenuta in data successiva al 29 marzo, quindi, saremmo di fronte anche alla violazione della nuova normativa che regola la sperimentazione animale nel nostro Paese, che prevede il ‘reinserimento in un habitat adeguato o in un sistema di allevamento appropriato alla loro specie’, qualora non vi siano, tra gli altri requisiti, pericoli per la sanità pubblica, la salute animale o l’ambiente”.

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