La petizione promossa dalla Siae e firmata da “oltre 4000 autori illustri” è ancora lì a far bella mostra sulla homepage del sito copiaprivata.it, creato per l’occasione nell’ambito di una delle più massicce e costose campagne di lobbying della storia del diritto d’autore in Italia.

Oggetto della petizione la richiesta al ministro dei Beni e delle Attività culturali di aumentare le tariffe del compenso per la cosiddetta “copia privata” ovvero quello che si è tenuti a pagare ogni volta che si compra uno smartphone, un tablet, un pc o un qualsiasi supporto di memorizzazione astrattamente utilizzabile per registrare o riprodurre un qualsiasi contenuto coperto da diritto d’autore, a prescindere dal fatto che lo si usi davvero a tale scopo.

“Il mondo della cultura scende in campo unito per difendere il diritto di equo compenso per la copia privata e chiederne il giusto adeguamento agli standard europei”, si leggeva e si legge nella petizione.

La storia racconta – come molti ricorderanno – che, alla fine, nonostante gli sforzi di chi aveva provato a persuadere il ministro Dario Franceschini che quelle della Siae e dei “4000 autori illustri” erano solo balle, prodotte artigianalmente, raccontando mezze verità e falsando i dati delle ricerche europee, le richieste della Società italiana autori ed editori sono state pressoché integralmente accolte e le tariffe effettivamente aumentate. Aumenti che, alla fine del 2015 costeranno ai consumatori italiani oltre 50 milioni di euro in più rispetto al 2014 con un aumento – stimato dalla stessa Siae nel proprio bilancio preventivo – del 75%.

Ma è inutile riaccendere le polemiche dell’epoca a proposito dell’anacronismo della scelta di imporre un simile salasso al mercato delle nuove tecnologie in un Paese che arranca in tutte le classifiche europee ed internazionali che misurano la diffusione di tali tecnologie tra i cittadini e le imprese.

Il punto è un altro.

Il punto è che i dati pubblicati nelle scorse ore dalla Cisac – ovvero dalla Confederazione mondiale delle società di gestione dei diritti d’autore alla quale aderisce anche la nostra Siae – raccontano che quelle che la Società italiana autori ed editori ha raccontato al ministro dei Beni culturali e – ciò che è più grave – ha fatto raccontare a migliaia di “autori illustri”, invitandoli a firmare la famosa petizione, sono solo enormi e colossali bugie.

Eccoli i dati che inchiodano la Siae alle sue menzogne.

In tutto il mondo – o, almeno, nei 120 Paesi in cui operano le 250 società di gestione dei diritti aderenti alla Cisac – nel 2013 sono stati raccolti compensi per copia privata pari a 237 milioni di euro. Solo in Italia, nello stesso anno, la Siae ha raccolto 67,1 milioni di euro [il dato è tratto dal bilancio Siae, ndr] come dire che il nostro Paese, da solo, ha contribuito per oltre un quarto alla raccolta complessiva mondiale di compensi per copia privata. In tutta Europa, sempre nel 2013, sono stati raccolti compensi pari a 204 milioni di euro. I 67,1 milioni di euro raccolti in Italia, dunque, rappresentano più di un terzo di quanto complessivamente raccolto in tutti gli altri Paesi europei.

Sono numeri, puntuali, inequivocabili provenienti da una fonte attendibile – e, comunque, più vicina alla Siae che ad ogni altro stakeholder – che fanno apparire la Società Italiana autori ed editori goffa nel mentire, almeno quanto goffo appariva a Charles Baudelaire il celebre albatro a passeggio sul ponte della nave.

E non basta ancora. A sfogliare i dati pubblicati dalla Cisac, infatti, ce n’è un altro che lascia senza parole. E’ quello dei compensi da diritto d’autore “per abitante” raccolti nel mondo: la media nei 120 Paesi nei quali operano le 250 società aderenti alla Cisac è stata pari, nel 2013, a 1,30 euro per abitante mentre quella europea è stata pari a 5,32 euro. Quella italiana, invece, ha sfiorato il doppio di quella europea. Un altro dato difficilmente condivisibile con la tesi all’epoca sostenuta dalla Siae che lamentava l’urgenza di adeguare le tariffe italiane per copia privata alla media europea.

E sin qui per parlare del passato. Alla fine del 2015, infatti – se in giro per il mondo o, semplicemente, per l’Europa non vi saranno aumenti tariffari come quelli registrati a casa nostra – la raccolta di compensi per copia privata che la Siae, nel proprio bilancio preventivo preannuncia pari ad oltre 117,5 milioni di euro, potrebbe rappresentare oltre la metà di quanto raccolto in tutta Europa e più di un terzo di quanto raccolto in tutto il mondo.

Questo raccontano i numeri. Numeri davanti ai quali, davvero senza nessuna volontà polemica, non si può non chiedere al governo – ed al ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini per primo – se non ritenga opportuno rivedere la propria posizione o, almeno, chiedere conto formalmente a Siae dei dati e delle indicazioni, straordinariamente fuorvianti, sulla cui base è stato indotto a disporre aumenti tariffari da capogiro che, forse – alla luce dei numeri ora pubblicati dalla Cisac – appaiono davvero privi di ogni giustificazione.

I numeri ed i fatti sono obiettivi ma rappresento professionalmente uno dei soggetti che ha impugnato il decreto del Mibac che dispone gli aumenti tariffari del cosiddetto compenso per copia privata

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