L’affaire banche popolari passa dalla Consob alla Procura di Roma. Un atto praticamente dovuto all’indomani delle dichiarazioni del presidente della Commissione di vigilanza dei mercati in Parlamento sui movimenti anomali in Borsa dei titoli interessati dalla riforma degli istituti popolari. Anzi, quasi in ritardo, visto che l’indagine della Consob era nota da tempo e la prassi vuole che nel momento in cui la Commissione apre un fascicolo sull’ipotesi di abusi di mercato provveda contestualmente a informarne la Procura. Tanto più che la vicenda è al centro dell’opinione pubblica da oltre 15 giorni e quasi 20 giorni fa il Movimento 5 Stelle e l’Adusbef avevano presentato un esposto in merito alla stessa Consob. Fatto sta che il giorno successivo all’audizione di Giuseppe Vegas in Parlamento, il procuratore Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Nello Rossi hanno aperto un fascicolo con riferimento alle presunte operazioni anomale sui titoli delle banche popolari quotate avvenute prima del 16 gennaio, quando si cominciò a parlare ufficialmente della riforma che però era nota al mercato fin dal 3 gennaio. Il fascicolo, poi, è intestato “atti relativi a” ovvero senza ipotesi di reato. I magistrati hanno chiesto documenti alla Consob e non è escluso che possano fare altrettanto con Bankitalia, ma in questo caso a proposito del commissariamento della Banca dell’Etruria, formalizzato mercoledì sera.

La ricostruzione del presidente della Commissione, per altro da settimane in odore di azzeramento, si basa però su analisi degli andamenti delle contrattazioni a partire dal 2 di gennaio, mentre la data delle prime indiscrezioni sulla riforma è il 3 gennaio 2015, quando la notizia è stata riportata dall’agenzia Ansa. In pratica, quindi, l’accertamento della Commissione si concentra prevalentemente sul periodo in cui l’informazione privilegiata era già nota. Consob, tuttavia, secondo Vegas ha finora accertato “la presenza di alcuni intermediari con un’operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto, sia pur in un contesto di flessione dei corsi”. Per poi ammettere che si tratta, in particolare, “di soggetti che hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio”, cioè non prima del 3 gennaio. Quindi la precisazione che non è stato finora possibile sapere con certezza chi ha comprato i titoli delle popolari e se li ha poi venduti incassando un iniquo profitto. Eppure il presidente della Consob si è spinto a dare dei numeri sul potenziale di lucro: “Le plusvalenze effettive o potenziali di tale operatività sono stimabili in circa 10 milioni di euro“, ha detto. Per poi mettere il dito nella piaga del fatto che, visto il numero potenzialmente infinito dei soggetti che erano a conoscenza della riforma, sdipanare l’altro bandolo della matassa, quello di chi ha parlato, sarà piuttosto complicato. “Sono in corso di predisposizione richieste volte a ricostruire il circuito informativo dell’informazione privilegiata, ovvero l’ambito in cui la stessa è maturata, il momento a decorrere dal quale essa ha assunto i requisiti di informazione privilegiata e i soggetti coinvolti nel circuito informativo, utilizzando tutti i poteri di accertamento previsti dalla disciplina sugli abusi di mercato e procedendo ad audizioni nei confronti di alcuni soggetti rispetto ai quali sono già emersi elementi che portano a ritenere necessari indagini specifiche più approfondite”, ha aggiunto in proposito.

La situazione è piuttosto delicata su più fronti. Dal lato del governo, infatti, c’è il conflitto d’interessi del ministro Maria Elena Boschi e dei suoi legami familiari con la Popolare dell’Etruria, ma anche il fatto che un investitore vicino al premier come Davide Serra, era da tempo posizionato anche su alcune popolari quotate. Non a caso il suo nome ricorre più volte più o meno allusivamente nella relazione di Vegas, che però fa riferimento ad eventi ben successivi rispetto all’indiscrezione del 3 gennaio. Tanto che in serata dal fondo Algebris di Serra è arrivata l’ennesima precisazione sul fatto che l’investitore dal primo al 19 gennaio 2015 non ha fatto operazioni sulle popolari italiane e che, anzi, l’unica operazione è stata una dismissione di 5,2 milioni di azioni del Banco Popolare che ha generato una perdita. “Mai nella storia di Algebris, sin dal primo ottobre 2006, è stato fatto alcun investimento (sia azionario sia in debito subordinato) nel capitale della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio”, ha inoltre precisato la società. Dall’altro lato rispetto a quello del governo c’è il fatto che, benché giunta con tempi curiosi spiegabili solo con l’avvicinarsi dell’ingresso dello Stato in Mps, la riforma voluta dall’esecutivo Renzi metterebbe un po’ di scompiglio in un settore, quello delle banche popolari, che in molti casi, come quelli di Ubi, Bpm o Bper, rappresenta spesso e volentieri una terra di razzie da parte di molteplici portatori di interessi. Tanto più che, per la sua vicinanza al territorio, costituisce un formidabile bacino elettorale, come ben sa il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi che nelle scorse settimane si è scagliato contro la riforma promossa dal governo di cui fa parte. Nel mezzo il ruolo della Consob, con il suo presidente, un ex parlamentare del Pdl, da mesi ai ferri corti con Palazzo Chigi. Le cui dichiarazioni alle Camere avevano già fatto da volano alle polemiche di Forza Italia, subito surriscaldate dalla notizia dell’apertura del fascicolo in Procura. “Ha niente da dire @matteorenzi? Ribadiamo: Padoan in Parlamento a riferire”, ha scritto su Twitter Renato Brunetta, mentre altri azzurri sono arrivati a chiedere che l’esecutivo ritiri il decreto.

G.Sc

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