La comunità dell’intelligence Usa è convinta che Kayla Jean Mueller, l’ostaggio americano dell’Isis morta in circostanze ancora da chiarire in Siria, sia stata data in sposa a un combattente dello Stato islamico. Lo afferma l’emittente statunitense Cbs. Secondo quando riportano altri media americani, tra i quali Abcnews, citando fonti dell’antiterrorismo, Mueller era stata data in sposa ad un comandante dello Stato Islamico. “Non veniva considerata come un ostaggio o qualcuno da scambiare”, hanno detto le fonti dell’emittente americana.

Secondo le informazioni di intelligence raccolte, tra le quali possibili riferimenti all’americana fatti durante telefonate tra miliziani intercettati, gli investigatori si erano infatti convinti che Mueller, che era stata rapita nell’agosto del 2013, fosse ancora viva e a volte in compagnia di un comandante dell’Is con il quale, ipotizzavano, era stata costretta a sposarsi. Ma, precisano ancora le fonti, non era tenuta costantemente dove si trovava il comandante. Va comunque ricordato che l’intelligence americana non può contare su “humint”, vale a dire su informazioni raccolte da fonti sul terreno, in Siria e nei territori controllati dall’Is, ma si affida unicamente a quelle raccolte con droni da ricognizione e satelliti.

Rimane in piedi il giallo sulle cause della morte. Con le autorità Usa e giordane che continuano a smentire la versione dello Stato Islamico, secondo cui Kayla sarebbe rimasta uccisa nel corso di un raid aereo di Amman. Le foto inviate dagli jihadisti alla famiglia della ragazza non aiutano a sciogliere il mistero. Sono almeno tre, come riporta il New York Times. Due mostrano la ventiseienne che indossa un velo islamico, un hijab nero che le copre parzialmente il volto. Un’altra ritrae il cadavere della ragazza adagiato su un sudario, uno di quelli utilizzati nel tradizionale rito dei funerali musulmani. Sul volto di Kayla si notano alcuni lividi ed ematomi che però – secondo gli esperti – non chiariscono le cause della sua morte. Difficile dire se quelle ferite siano coerenti con l’essere rimasti uccisi sotto le bombe e le macerie di un edificio, come sostiene l’Isis.

In particolare uno dei medici legali che hanno esaminato le immagini spiega che sul viso della ragazza non si notano segni di “rigonfiamento“, di dilatazioni della pelle o altri effetti traumatici tipici in un corpo coinvolto in una esplosione e nel successivo crollo di un edificio. Lo stesso esperto, però, non esclude che la donna possa essere stata colpita da schegge vaganti provocate dell’esplosione.

Mentre è quasi certo che la famiglia di Kayla, dalla sua casa di Prescott in Arizona, abbia scritto almeno una lettera al presidente Barack Obama, pregandolo di fare di tutto per la liberazione della ragazza, organizzando anche uno scambio di prigionieri. Ma lo stesso Obama, in un’intervista a Buzzfeed, ha ribadito che la linea degli Stati Uniti resta quella della assoluta fermezza: con i terroristi non si tratta. E l’America non paga riscatti. “Dire alle famiglie che gli Usa non pagano i riscatti è la cosa più dura che abbia mai fatto. Ma questo – ha dichiarato – è un punto fermo della nostra politica”. “La ragione – ha spiegato – è che se cominciassimo a farlo non solo finanzieremmo il massacro di persone innocenti, ma rafforzeremmo la loro organizzazione e di fatto renderemmo gli americani ancor di più un bersaglio di futuri rapimenti”.

Obama poi si difende con forza da chi lo accusa di non fare abbastanza per salvare gli ostaggi americani, rivelando che gli Usa provarono anche a salvare Kayla, la scorsa estate, con in un blitz in Siria. L’operazione però fallì: gli uomini delle forze speciali probabilmente – ha raccontato – arrivarono con un giorno o due di ritardo.

Intanto fa però discutere un’altra intervista rilasciata dal presidente: quella al sito Vox, in cui nel descrivere l’attentato al supermercato kosher di Parigi, lo stesso giorno dell’attacco a Charlie Hebdo, Obama evita di parlare di atto antisemita. Ma di un terrorista che ha sparato a caso su un gruppo di persone. Frase che ha creato qualche imbarazzo e che ha costretto la Casa Bianca a difendersi. “Il presidente ha voluto dire che in quel negozio c’erano anche altre persone non della comunità ebraica”, si è affretto a precisare il suo portavoce Josh Earnst. Tuttavia, anche la portavoce del Dipartimento di stato, Jennifer Psaki, si è rifiutata di definire antisemita l’attacco. E la polemica con settori della comunità ebraica – tanto più in tempi di gelo con il premier israeliano Benyamin Netanyahu – sembra destinata a montare.

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