Sembra esserci una volontà politica e non semplici scontri da stadio dietro il massacro dell’Air Defence Stadium de Il Cairo, dove domenica sono morte decine di persone: soffocate dai gas lacrimogeni, colpite da proiettili di gomma o calpestate dalla folla. Il ministro degli Interni egiziano ha subito cercato di liquidare la tragedia come un assalto ultras, spiegando: “A fronte dei cinquemila tagliandi disponibili, almeno diecimila Ultras White Knights (i tifosi dello Zamalek, la squadra di casa, nda) hanno dato l’assalto ai cancelli per entrare e hanno causato la risposta della polizia”. Sulla stessa lunghezza d’onda la Procura generale che oggi, nell’indicare in 22 il numero delle vittime a fronte delle oltre 40 indicate dai White Knights, ha annunciato che la morte dei tifosi è stata dovuta alla calca creatasi mentre le forze dell’ordine li stavano disperdendo.

Il problema è che non tutti i tifosi rimasti uccisi erano appartenenti a gruppi ultras. Dalle foto postate sui social network risultano uccisi anche bambini, e in rete girano filmati che mostrano un migliaio di tifosi immobili, compresi anziani e bambini, cui è preclusa ogni via di fuga nella strada che porta allo stadio: chiusi in gabbia, sono sommersi per lunghi minuti dai lacrimogeni della polizia. Poi ci sono i precedenti storici, che raccontano come in Egitto è evidente la saldatura tra proteste antigovernative, ultras e repressione. Dopo le recenti condanne all’ergastolo di 230 persone – laiche e appartenenti a sindacati e movimenti di base – che avevano partecipato alle rivolte di piazza Tahrir. Dopo l’uccisione da parte della polizia di almeno 20 persone il 25 gennaio, quarto anniversario della Primavera Araba. Con il massacro dell’Air Defence Stadium il governo di al Sisi continua infatti a colpire il cuore di quel movimento che nel 2011 si rivolta contro Mubarak e lo destituisce.

A Tahrir infatti gli ultras sono assoluti protagonisti. White Knights (dello Zamalek) e Ultras Alawhy (dello al Ahly) nascono intorno al 2007 e si ispirano alla conformazione dei gruppi ultras italiani degli anni Settanta e Ottanta. Come i loro omologhi italiani, apprendono sulla propria pelle nelle curve come difendersi dalla repressione e così, quando nel 2011 il paese scende in piazza contro Mubarak, sono i più abili nelle strategie di piazza per rispondere all’esercito. Un anno dopo arriva la prima vendetta delle forze dell’ordine, a Port Said la polizia spegne la luce, chiude i cancelli e permette ai tifosi dell’Al Masry con spranghe, coltelli e bastoni di massacrare gli Ultras Alawhy. Sono oltre 70 morti e 200 feriti. Poi la repressione continua, con condanne e processi arbitrari, fino a domenica.

Lo stesso presidente dello Zamalek in carica da poco meno di un anno, Mortada Mansour, domenica sera ha biasimato il comportamento criminale dei White Knights, blanditi come “terroristi”. Mansour è un noto avvocato controrivoluzionario: famoso per le prese di posizione contro sindacati, comunisti e omosessuali. E’ stato tra i più fervidi sostenitori della repressione di piazza Tahrir, dove fu accusato (e poi prosciolto) di avere guidato il “battaglione dei cammelli”, gruppo paramilitare che entrò in piazza con cavalli, spranghe e bastoni uccidendo almeno 3 persone e ferendone oltre 1500. Dopo essersi candidato alle presidenziali, la scorsa primavera si ritira per appoggiare al Sisi, che poi vince con il 96% dei voti. Pochi mesi fa un gruppo di White Knights gli lancia addosso un sacchetto pieno di urina, che lui dichiara essere acido corrosivo, e giura vendetta.

La funzione politica degli ultras contemporanei è evidente non solo in Egitto, ma anche in Brasile, Ucraina, Turchia. In Brasile i gruppi della Torcida Organizada sono scesi in piazza insieme al Movimento Pase Libre e ai Sem Terra nelle manifestazioni contro sgomberi, corruzione e spreco di soldi pubblici per la Confederations Cup 2013 e il Mondiale 2014. Nel pantano ucraino, i tifosi sono in prima linea nel conflitto sia dalla parte filogovernativa sia da quella filorussa, e molti di loro sono confluiti nelle organizzazioni paramilitari che si combattono sui confini immaginari della storia. In Turchia nel 2013 gli UltrAslan, i Vamos Bien e i Carsi, tifosi delle tre principali squadre della capitale Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas, hanno marciato insieme come Istanbul United durante le proteste di Gezi Park. Oggi più che mai, dalla misura della repressione nei confronti degli ultras, si percepisce il grado di conflitto sociale possibile in un paese.

Twitter @ellepuntopi

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