Scavo opificio“Su quel buco sono stati buttati migliaia di euro ma adesso è in stato di abbandono ed è inutile pensare che siano reperibili risorse per trasformarlo in un sito visitabile dal pubblico. Quindi è meglio consentire di costruire in modo da lasciare in vista, protetti, gli scavi. Solo così sarà possibile renderli fruibili alla vista della gente”. Il pensiero di Orietta Mercatelli, ex assessore alla Cultura nella seconda giunta Zaffaina ed esponente dell’associazione Apertamente, è chiaro.

Il buco è quello sul lato di via Cima Mandria, nella zona delle Rive di Posmon, a Montebelluna, comune del trevigiano, dove a partire dai primi anni del 2000 sono iniziati i lavori di una lottizzazione. Ai quali, dopo le prime scoperte, sono seguite indagini archeologiche che hanno rilevato una straordinaria concentrazione di testimonianze antiche. Le oltre 350 tombe, databili dall’età preromana a quella romana, della necropoli di Posmon sono state documentate tra il 2000 e il 2002 e ricoperte dopo aver recuperato i corredi, entrati a far parte della collezione del Museo di Storia naturale e archeologia del Comune veneto ed ora in parte esposti fino al prossimo 29 marzo nell’ambito della mostra “Storia di antichi Veneti. La situla di Montebelluna”.

via cima mandria (1)Il tracciato stradale basolato, ugualmente ricoperto, dopo essere stato parzialmente asportato per essere ricostruito nel locale Museo. Le strutture relative ad un opificio di età romana lasciate in vista per scelta dell’amministrazione comunale, decisa a tutelare e valorizzare quel pezzo di storia. Il passo iniziale è stata la permuta con aggiunta di un conguaglio per diventare proprietaria dell’area: all’ immobiliare andò l’ex asilo di Mercato Vecchio, oggetto di un piano di recupero, al Comune il lotto con l’opificio romano.

L’idea: musealizzare all’aperto i resti dell’edificio del I secolo d. C. per trasformarli in brand di Montebelluna, in un “Parco archeologico” che sia luogo di identificazione culturale e attrazione turistica insieme.

Nell’ottobre 2005, con la convenzione siglata tra la Fondazione Cassamarca e il Comune di Montebelluna, che prevede anche la realizzazione di una “Carta geo-archeologica del territorio”, l’intervento può finalmente contare sul necessario plafond finanziario. Così nel dicembre 2007 l’amministrazione comunale, seguendo le indicazioni della Sovrintendenza ai Beni Archeologici, in accordo con l’Università di Padova, con il supporto del Museo locale, incarica l’architetto Fiorenzo Berardi di progettare la copertura dell’area e la sua sistemazione. Nell’Aprile 2008 sembra tutto pronto. Prevista anche un’aula didattica e un “filtro vegetale” tra l’area archeologica e i terreni circostanti, oltre a un filare di cipressi sul lato settentrionale. Ma nel novembre 2011 è ancora tutto fermo. Bloccati i finanziamenti da parte della Fondazione, il Comune si trova nell’impossibilità di intervenire. Così a ricoprire gli scavi ci sono i teloni, a perimetrare l’area una rete che impedisce di vedere “dentro”. Dopo più di tre anni nulla è cambiato. Tutto è in abbandono. Senza neanche che si sia provveduto a sostituire la rete con un pannello fotografico dell’area e dei suoi caratteri archeologici, come suggerito da Lucio De Bortoli, di Montebelluna Nuova. Il “buco” è ancora lì. A questo punto, ecco la proposta della Mercatelli: “Meglio dare la possibilità di costruire lasciando visibili gli scavi che lasciare un buco ricoperto dalle erbacce”.

Insomma, rivendere il lotto acquistato per far costruire una villetta. Con vista sull’opificio romano.

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