Una condanna a morte per rispondere ad un assassinio. La vita, e la morte, della Sajida Al Rishawi opposta alla barbara uccisione di Muath al-Kasaesbeh. Sangue su sangue. La Giordania ha risposto con l’impiccagione della terrorista di cui lo Stato Islamico aveva chiesto la liberazione alla messa a morte del suo pilota militare, mentre il mondo arabo è attraversato da un’onda tellurica. Le reazioni al rogo inscenato per uccidere l’ostaggio giordano vanno dalla condanna della “disumana uccisione” arrivata da Teheran a quella pronunciata dall’università Al Azhar del Cairo: “Gli assassini meritano di essere uccisi, crocifissi o anche di avere i loro arti amputati”.

Per tutta la giornata la tv di Stato giordana ha deciso di trasmettere i propri programmi tenendo in sovrimpressione, in alto a sinistra sullo schermo, l’immagine fissa di Muath al-Kasaesbeh. Re Abdallah ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti ed è tornato precipitosamente ad Amman, non prima di aver chiuso un nuovo accordo di collaborazione con Washington: gli Usa verseranno nelle casse del Paese un miliardo di dollari l’anno per i prossimi tre anni, aumentando un budget che era di 660 milioni l’anno per 5 anni. La Giordania intensificherà il suo impegno nella coalizione internazionale contro lo Stato islamico, ha annunciato un portavoce del governo di Amman, Mohammad al-Momani, aggiungendo che re Abdullah di Giordania è stato impegnato in giornata un incontro di funzionari della sicurezza e ha promesso una guerra senza sosta contro lo Stato islamico “per proteggere la nostra fede, i nostri valori e i principi umani”.

Da Damasco, intanto, arriva alle autorità giordane una nuova offerta di collaborazione: il regime di Bashar al-Assad ha invitato la Giordania a “cooperare nella lotta contro il terrorismo rappresentato dallo Stato islamico e dal Fronte al-Nusra (il braccio di Al Qaeda in Siria, ndr)”.

Le immagini di al-Kasaesbeh che arde tra le fiamme ha scosso il Paese. Safi al-Kassasbeh, padre del pilota, ha chiesto”vendetta” per il figlio, invitando le tribù giordane a fare fronte comune contro lo Stato islamico e la Coalizione internazionale a guida americana, di cui Amman fa parte, a “distruggere” i jihadisti.  A Karak, città natale del pilota, manifestanti hanno marciato per le strade chiedendo anch’essi “vendetta” e gridando slogan di sostegno al re Abdallah. Ma oggi è tutta la Giordania che sembra unita nella reazione di shock e di sdegno contro l’Isis, dopo che nei mesi precedenti il Paese era parso diviso sull’opportunità di partecipare ai raid aerei della Coalizione. Anche Murad al Adayleh, uno dei leader dei Fratelli Musulmani giordani, movimento che con le autorità di Amman ha rapporti tesi, ha condannato l’uccisione del pilota: “Questa non è la morale dell’Islam, e non ha niente a che fare con i musulmani”, ha affermato Adayleh.

La rabbia si diffonde anche attraverso i social network. Un imprenditore giordano ha annunciato via Facebook di aver messo una taglia da un milione di dollari sulla testa di Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamato califfo dell’Is. Lo scrivono i media di Amman, precisando che la taglia vale se al-Baghdadi viene consegnato vivo, mentre scende a 100.000 dollari per chi riesce a ucciderlo. “Sono Hani Abu Asfar, presidente del consiglio di amministrazione della holding del gruppo Asfar – si legge sulla pagina dell’imprenditore – annuncio un premio di 100.000 dollari per chi riesce a portarci la testa di quello che viene chiamato al-Baghdadi. Annuncio inoltre un premio da un milione di dollari a chi riesce a consegnare vivo quest’uomo malvagio”. Già in precedenza, il governo statunitense ha offerto per la cattura di al-Baghdadi una taglia da 10 milioni di dollari.

La reazione più dura, destinata ad avere strascichi nel dibattito che si è aperto nel mondo arabo, è arrivata dall’università di al-Azhar del Cairo, alta autorità musulmana riverita dai sunniti nel mondo, ha emesso un comunicato esprimendo rabbia profonda. L’università ha definito i militanti “un gruppo satanico, terrorista”. Il grande sceicco di al-Azhar, Ahmed al-Tayeb, ha detto che gli assassini stessi meritando di essere “uccisi, crocifissi o anche di avere i loro arti amputati”.

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