Il nome in codice è Nuovo credito per la crescita. Secondo il Messaggero si chiamerà così la bad bank a partecipazione pubblica per il risanamento dei crediti in sofferenza in pancia alle banche italiane. Dopo le indiscrezioni delle scorse settimane Palazzo Chigi e Banca d’Italia stanno tirando le fila dell’operazione, in vista dell’invio di una proposta illustrativa alla Commissione Ue, che dovrà dare il via libera. Una mezza conferma arriva direttamente dal ministero del Tesoro, che nel pomeriggio ha diffuso una nota secondo cui “sul tema dei crediti incagliati delle banche sono allo studio diverse soluzioni“, “l’istruttoria è in corso e non si prevedono tempi lunghi per una soluzione” anche se “la normativa da mettere a punto è piuttosto complessa, coinvolgendo anche l’Europa e il problema degli aiuti di Stato“.

Un ruolo chiave, riporta il quotidiano romano, sarà svolto da Sga (Società per la gestione delle attività), cioè la società creata nel 1997 per il salvataggio del Banco di Napoli, che in poco più di 15 anni è riuscita a recuperare l’85% dei prestiti non rimborsati all’istituto di via Toledo. Il governo, stando alle bozze del documento su cui lavorano il vicedirettore generale di via Nazionale Fabio Panetta, il consigliere del premier Andrea Guerra e il capo della segreteria tecnica del Tesoro Fabrizio Pagani, intende acquisire da Intesa Sanpaolo – per un prezzo di circa 600mila euro – l’intero capitale della spa, su cui peraltro il ministero dell’Economia ha un diritto di pegno, e affidarle l’iter della riscossione. Poi verrà lanciato un aumento di capitale (fino a 2,4 miliardi) per consentire agli istituti di credito che cederanno parte delle proprie sofferenze di diventare soci, accanto a Cassa depositi e prestiti, Bankitalia ed eventuali investitori privati.

Ancora da decidere come si procederà a quel punto. La partecipazione pubblica potrebbe fermarsi al 49%, con i privati al 32% e le banche al 19 per cento , con il vantaggio che la Sga resterebbe fuori dal perimetro dello Stato e il suo passivo non andrebbe a incrementare il debito pubblico, o salire all’81 per cento rendendo così non necessario l’apporto di capitali privati, considerato “difficile” visto il contesto di mercato.

Una volta decisa e sistemata la struttura dell’azionariato, la società inizierà – con il proprio capitale e emettendo obbligazioni con garanzia statale destinate a investitori istituzionali – ad acquistare una parte dei 180 miliardi di euro di prestiti incagliati che zavorrano i bilanci degli istituti di credito della Penisola. Il criterio di scelta? Per restringere il campo dovrebbero essere considerate “trattabili” solo le sofferenze costituite da debiti di imprese, e unicamente quelle di valore superiore a una soglia minima che potrebbe essere fissata a 300mila o 500mila euro. Circoscrivendo così il perimetro, a seconda di dove sarà posizionata l’asticella, a non più di 74mila o 45mila soggetti debitori.

Questa soluzione, per quanto configuri di fatto un aiuto di Stato, secondo gli autori della bozza non incorrerebbe nelle sanzioni di Bruxelles. Perché rientrerebbe tra gli aiuti “compatibili” in quanto destinati a “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. In ogni caso, si legge nel documento, “per superare il vaglio della Commissione Ue lo schema dovrà essere realizzato con modalità tali da assicurare la conformità con le condizioni previste dalla disciplina degli aiuti di Stati, il cui obiettivo preminente è salvaguardare la stabilità finanziaria riducendo le distorsioni della concorrenza e gli oneri per le finanze pubbliche“.

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