Sospeso il progetto del deposito permanente di rifiuti contaminati da amianto a San Felice sul Panaro, che avrebbe dovuto essere affidato alla ditta di Bruna Braga, moglie dell’imprenditore Augusto Bianchini, in carcere dal 28 gennaio scorso con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. In seguito alla maxi operazione della Dda di Bologna, denominata Aemilia, che ha portato all’arresto di 117 persone e ad altri 46 provvedimenti emessi dalle Procure di Catanzaro e Brescia, infatti, la Conferenza dei Servizi della provincia di Modena ha sospeso l’iter di autorizzazione del progetto pensato per tombare la montagna di amianto che a oggi si trova nel terreno di proprietà della Bianchini Costruzioni: il progetto di “un deposito permanente di rifiuti inerti contaminati da cemento-amianto”, cioè, “presentato dalla Dueaenne sas di Braga Bruna”, ai domiciliari assieme al figlio Alessandro Bianchini.

Entrambi, secondo le intercettazioni telefoniche nelle mani degli inquirenti, coinvolti nelle attività dell’imprenditore, arrestato con l’accusa, tra le altre, di aver collaborato con Michele Bolognino, per la Dda uno dei “promotori” della ‘ndrangheta cutrese nelle aree di Parma e Reggio Emilia, favorendo l’infiltrazione della criminalità organizzata nella ricostruzione post sisma. Ma anche per aver commesso illeciti ambientali, che per gli investigatori s’intrecciano alla presenza mafiosa oggetto dell’operazione Aemilia: lo smaltimento illegale, cioè, di materiale contaminato da amianto, interrato in diversi siti della bassa modenese. Alessandro, infatti, che con la madre sarà interrogato il 3 febbraio dal gip di Bologna per fornire la sua versione dei fatti, avrebbe collaborato con il padre Augusto durante l’interramento dell’amianto sotto l’azienda Phoenix, mentre Braga, titolare della ditta che aveva presentato il progetto per la realizzazione del sarcofago a San Felice, è stata più volte registrata dagli investigatori sia mentre discuteva con il marito circa i rischi presentati dalla collaborazione con Bolognino, sia sullo smaltimento dell’amianto.

All’interno del deposito permanente avrebbe dovuto finire l’amianto che oggi si trova nell’area di proprietà della Bianchini Costruzioni, più diversi sacchi di materiale contaminato prelevati in seguito alla bonifica del campo di San Biagio. I cittadini di San Felice, in realtà, avrebbero voluto fosse portato in una discarica autorizzata, ma l’operazione è costosa e Bianchini, quando presentò domanda per costruire il sarcofago necessario a isolare il materiale, disse di non avere abbastanza denaro. Da qui l’istanza per realizzare, direttamente nel sito, cioè sul terreno dell’azienda, il deposito permanente, che però, in seguito all’operazione Aemilia, è stata sospesa. “Alla luce dei recenti eventi di cronaca che coinvolgono anche la titolare della ditta Dueaenne – spiega in una nota la Provincia di Modena – si rende necessario acquisire, da parte della Prefettura, informazioni aggiornate in merito ai componenti della società proponente, in particolare, circa il possesso, allo stato attuale, dei requisiti soggettivi dei suddetti proponenti”.

La Dueaenne, del resto, era stata creata quando la Bianchini Costruzioni si era trovata in difficoltà, tra le indagini delle Procure di Modena e Reggio Emilia sull’amianto, e il concordato preventivo, per garantire la solidità necessaria a un’operazione a tutti gli effetti costosa. Più meno la storia della Ios, fondata dal figlio dell’imprenditore, Alessandro, dopo che la Bianchini Costruzioni era stata esclusa dalla white list.

La sospensione, però, non basta agli abitanti di San Felice Sul Panaro, le cui case sorgono appena a un chilometro dall’amianto, stoccato e abbandonato nel terreno di proprietà dell’imprenditore. “Non sappiamo di preciso quanto amianto ci sia nell’area di via dell’industria – spiega Carlo Valmori, cittadino della vicina Finale Emilia e autore dell’esposto presentato alla Procura di Modena quest’autunno dal Movimento 5 Stelle proprio sulla vicenda – ma ce l’hanno portato i Bianchini, e ora i Bianchini devono pagare affinché sia trasferito in un’apposita discarica. Ammucchiarlo e coprirlo con della terra non basta, il sito non è adatto a creare un deposito permanente. Va smaltito e questo è il momento di provvedere”.

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