Il figlio di un’amica va alle elementari. In classe c’è una bambina prepotente. Lo spintona, gli toglie i colori, gli fa i dispetti e quando lui prova a reagire, spintonandola a sua volta, trattenendo il contenitore con i colori, la bimba parte in un pianto ad orologeria che invita la maestra a intervenire. Lui viene punito, lei invece no.

Un adolescente che ha superato da poco le scuole medie inferiori, figlio di un’altra amica, è stato preso di mira da un gruppo di bulle che lo trattano malissimo. Lo apostrofano in malo modo, lo sfottono perché manca di machismo, e il ragazzo non sa come reagire. E’ timido, ancora piccolo di statura, perché i maschi crescono un po’ dopo le ragazze, porta gli occhiali ed è insicuro all’ennesima potenza. Sa come reagire con i compagni, gli altri ragazzi, ma non sa proprio cosa fare con le bulle. Ne parla con la madre che ne parla con gli insegnanti. Indica le ragazze e spiega come stanno le cose. Le bulle si beccano un minimo rimprovero e lui, invece, è costretto a cambiare classe perché a quel punto viene insistentemente preso in giro non solo dalle bulle, che non accennano a smettere, ma anche da altri compagni che lo offendono perché lui, da maschio, non è stato in grado di difendersi senza l’intervento della madre.

Un uomo, studente universitario, ha una relazione complicatissima con una coetanea. Lei viene da una situazione difficile, è tesa, vittimista, immagina che il mondo intero ce l’abbia con lei, allora salta in aria ad ogni piccola discussione, lo tratta malissimo, gli dice cattiverie, lo spintona, qualche volta lo schiaffeggia, si picchia in testa, poi piange, dice che lui dovrebbe capirla, aiutarla, così lui si sente in colpa e pensa perfino che quel che succede è solo colpa sua. Ha provato a parlarne con qualcuno ma è già difficile per lui percepire la violenza, senza colpevolizzare se stesso, figuriamoci quant’è complicato dirsi vittima davanti a persone che tirano fuori i peggiori stereotipi sessisti adattati alla questione: “da una come lei mi farei malmenare volentieri”, “non è possibile che lei possa farti male, stai dicendo un sacco di sciocchezze”. Lui tenta di spiegare che è stato educato a non “toccare le donne neanche con un fiore”, perciò è stato cresciuto a pane e paternalismo. Se osasse reagire, bloccarla, che so, spingerla indietro per non farsi mettere le mani addosso, lei probabilmente direbbe che il violento è lui. Allora deve tenersi gli schiaffi, le sue scenate senza senso finché non capisce che forse è meglio smetterla e dirle addio.

Un altro uomo, adulto, sposato, si è separato dopo un periodo di lunga riflessione. Non si amavano più, perciò sembrerebbe tutto semplice. Sarà indolore, pensava. Nessun rancore, risentimento, nessuna scenata o discussione offensiva. Va tutto bene. E in effetti va tutto benone finché lui non si mette con un’altra, carina, simpatica, e, per scelta di entrambi, anche un po’ incinta. E’ a quel punto che il rapporto tra gli ex subisce una metamorfosi. La ex perde il diritto all’intimità, ai toni familiari, lui ha un’altra e questo significa che non si torna indietro, non si può riparare più niente. Così comincia uno stillicidio di pretese, scenate, telefonate con richieste paradossali, e, quando lui e l’altra andarono a vivere insieme, alla ex non sembrò vero di poter chiamare e far sentire freddezza, condita da qualche schizzo di veleno, alla nuova compagna all’altro capo del telefono. Lui, preoccupato per la compagna, incinta, innervosita da tante ingerenze, prova a parlare con la ex. Va a casa sua, suona al citofono, lei scende nervosissima, urla qualcosa di incomprensibile, gli dice che lui e quella “puttana” meritano tutto il male possibile e poi gli dice che voleva proprio guardarlo negli occhi per vedere fino a che punto lui fosse definitivamente “divorziato” da lei. Lui sale in macchina e dice bye bye. Il giorno dopo lei telefona alla nuova compagna e le dice che lui avrebbe detto e fatto cose orrende nei suoi confronti. Da allora lui va sempre in giro con un apparecchio che sa anche registrare.

Cos’hanno in comune queste storie? Il fatto che certi atti di violenza riescono bene se, in nome di un enorme stereotipo sessista, si ritiene che la persona che la compie gode di una sorta di impunità per effetto di una attribuzione di innocenza in base al sesso. Mi spiego meglio: se si pensa sempre che lei è innocente, addirittura vittima fin dalla nascita, e lui invece sarebbe sempre e comunque un carnefice, succede una cosa strana: si inibisce all’uomo la possibilità di denunciare, parlarne, perché ad ascoltarlo potrebbe esserci qualcuno che sghignazza, lo sfotte, mette in discussione la sua “virilità” (ma che uomo sei?), perciò si istiga all’omertà, si realizza un terreno sociale in cui la percezione della violenza inflitta ad un uomo è pari a Zero, si crea il presupposto per cui se lui denuncia non viene mai creduto, se lo fa lei viene creduta a priori, senza se e senza ma.

Le storie che vi ho raccontato, dunque, hanno una cosa in comune: mostrano fino in fondo, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che gli stereotipi sessisti e i ruoli di genere imposti rappresentano un danno anche per gli uomini. Quelli che non possono dichiarare la propria fragilità, che devono sempre e comunque apparire machisti, che non possono dirsi sopraffatti dalla violenza se a compierla è una donna. E se sono le donne, per prime, a divulgare l’idea che gli uomini siano tutti bruti, machi, insensibili, potenzialmente violenti, censurando la narrazione a proposito di quella parte maschile che c’entra poco con questi pregiudizi, realizzando una imposizione di ruolo maschile che poi è lo stesso che noi dovremmo combattere, come facciamo poi a dire che la soluzione della fine della violenza, inclusa quella di genere, dipende da una metamorfosi maschile? In quale direzione? In quella che li obbliga a scusarsi e confessare orribili misfatti, anche se non li hanno mai commessi, pur di ottenere udienza dalle sacerdotesse del bene? O non è meglio, forse, smettere di vedere gli uomini, tutti, come machi che non possono piangere mai, affinché a quel punto si possa semplicemente parlarsi tra noi, esseri umani, individui, persone? Fate un po’ voi.

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