“Il difficile trapianto di ‘Sergiuzzu’ Mattarella”, scrive Gian Antonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera il 19 aprile 2001. L’articolo racconta del terremoto politico provocato dalla decisione dei vertici nazionali della Margherita di candidare l’ex ministro della Difesa, oggi indicato dal Pd come successore di Giorgio Napolitano al Quirinale, in un seggio sicuro in Trentino-Alto Adige per le elezioni politiche del 2001. Dopo la prima levata di scudi, i maggiorenti locali del partito, Lorenzo Dellai in primis, (“Non possiamo venire a sapere che uno si candida qui, com’è accaduto, dal Giornale di Sicilia”) si piegano ai diktat di Roma, complici anche le dichiarazioni accomodanti del diretto interessato: “Avrei potuto essere candidato nelle Madonie (Palermo, ndr). Era un collegio buono. Sono io che ho preferito spendermi dentro una progetto nazionale. E venire a Trento e Bolzano, che spero mi adottino”.

Così il “siculo dal pallore londinese”, per usare sempre le parole di Stella, diventa il candidato unico della Margherita all’ombra delle Dolomiti. “Tra tutti quelli che ci potevano imporre Sergio è il migliore. Stia certo che non gli mancherà il nostro sostegno”, conferma Dellai, tant’è che il il 26 maggio 2001, il politico palermitano viene eletto deputato della Repubblica per la sesta volta.  Tutto a posto allora? No, perché le operazioni lampo per la sua candidatura finiscono quasi subito sotto la lente della magistratura di Bolzano e, il 4 aprile 2003, il giudice per le indagini preliminari del tribunale altoatesino rinvia a giudizio 17 esponenti locali della Margherita con l’accusa di aver falsificato alcune firme necessarie per la presentazione della candidatura di Mattarella (che non è stato indagato).

Tra gli imputati figura anche l’ex vicepresidente della giunta provinciale di Bolzano Michele Di Puppo che, insieme ad altri dirigenti e collaboratori, si era attivato all’ultimo minuto per raccogliere le sottoscrizioni necessarie per la corsa elettorale dell’ex esponente della sinistra Dc. Secondo la procura, in maniera fraudolenta: dalle autentificazioni tarocche, alla raccolta senza autorizzazione, fino alla falsificazione bella e buona di firme fantasma di persone del tutto estranee alla competizione politica.

Il processo dura poco più di un anno e, a luglio 2004, si conclude con un nulla di fatto perché nel frattempo ci pensa la maggioranza che sostiene il governo di Silvio Berlusconi. Sì, perché, nella primavera di quello stesso anno entra in vigore una legge che depenalizza il reato trasformandolo da delitto punibile con pene che vanno da uno a sei anni a contravvenzione per cui è previsto il pagamento di una semplice ammenda.

Agli imputati, per giunta, va ancora meglio perché l’intervento legislativo, in concorso con i tempi biblici della giustizia italiana, fa scadere i termini della prescrizione costringendo il giudice ad archiviare la pratica e mandare assolti tutti senza che sborsino nemmeno un quattrino di contravvenzione. Una legge molto attesa dalle parti di Bolzano, come scrive l’Alto Adige a luglio 2004: “Come si ricorderà, nel corso del procedimento gli imputati avevano chiesto e ottenuto più volte lunghi rinvii a seguito dell’iter parlamentare in corso della legge che avrebbe successivamente depenalizzato il reato”.

Autenticare o creare liste false tornerà delitto solo due anni dopo, a fine 2006, quando la Corte costituzionale tirerà un tratto di penna sulla legge del governo Berlusconi. Nel frattempo però la XV legislatura è finita, Berlusconi è andato a casa e a Palazzo Chigi è tornato Romano Prodi. E Mattarella? E’ ancora parlamentare, per la settima e ultima volta. Questa volta eletto nella circoscrizione Sicilia 1 e grazie al Porcellum, la riforma “porcata” della legge elettorale di Roberto Calderoli che ha mandato in soffitta proprio il suo Mattarellum.

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