Un documento top secret tenuto nei cassetti del ministero dell’Interno dal quale emergerebbe il vero motivo del risarcimento dato alla famiglia Aldrovandi per la morte di Federico. È l’asso nella manica che sostiene di avere l’avvocato Marco Zincani, che difende tre dei poliziotti (Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri) condannati in via definitiva per l’omicidio colposo del diciottenne.

A Bologna si è tenuta l’udienza della Corte dei Conti, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta della procura contabile, che chiede ai quattro agenti circa 1.870.000 euro. Questo in ragione di quello che per il procuratore rappresenta una “grave fattispecie di danno erariale subita dal ministero dell’Interno” che, nel 2010, aveva transato con la famiglia la cifra vicina ai due milioni di euro. Ora, in ragione di quel risarcimento, ciascuno dei quattro agenti è tenuto a rimborsare circa 467.000 euro (in attesa del giudizio di merito è stato disposto il sequestro dei beni e del quinto dello stipendio degli agenti).

“Una cifra esorbitante”, secondo Zincani, “che non ha ragione di essere chiesta”. Questo perché, secondo il legale, “il vero responsabile è il protocollo adottato dagli agenti. È quello ad essere pericoloso”. Il riferimento è alla prassi di ammanettamento in posizione prona adottato quel mattino del 25 settembre 2005 a Ferrara, un modus operandi seguito in ogni parte d’Italia. La novità, ancora custodita nel fascicolo del giudice amministrativo, ma che a sentenza avvenuta Zincani promette di render noto, consisterebbe in “un documento ufficiale del ministero, datato settembre 2014, che ha una portata dirompente”, ottenuto “con pene e fatiche terrificanti”. Da quel documento “si evince che il pagamento non dipende da dinamiche esterne, cioè dell’azione degli agenti, bensì dal fatto che sarebbe costato ben di più allo Stato richiamare tutti gli agenti di Polizia per nuovi addestramenti”.

Ecco quindi il vero ‘responsabile’: “Il ministero ha pagato solo per non aprire una finestra scabrosissima, ossia il necessario aggiornamento del protocollo sulle tecniche di contenimento, preferendo buttare ogni responsabilità sulle spalle degli agenti”.

Un altro documento del Viminale è finito tra le carte del presidente Luigi Di Murro. A consegnarlo è stato Eugenio Pini, avvocato di Monica Segatto, la quarta poliziotta condannata per la morte del ragazzo. “Da un nostro accesso agli atti al ministero – spiega Pini – abbiamo la conferma che quella posizione di ammanettamento in posizione prona era quella prescritta dal Corpo di Polizia: pancia a terra con un ginocchio sul collo e uno sulla schiena”.

Per la cronaca, nel corso di quella operazione, vennero usati anche i manganelli. Anche quando Federico Aldrovandi era ormai immobilizzato a terra e chiedeva aiuto. Pini va oltre e si limita all’aspetto contabile, contestando la legittimità della transazione voluta dal ministero: “Sono state elargite somme a titolo di risarcimento anche ad alcuni parenti non costituiti parte civile. Il risarcimento, inoltre, è avvenuto prima della sentenza definitiva, dando così per accertata la responsabilità prima ancora di un giudicato”. La Corte si è riservata sulla decisione.

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