“Il ministro intervenga sul femminicidio Burci”. Il caso Paula Burci finisce in parlamento. La senatrice del Pd Laura Puppato, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it sulla storia umana e processuale della diciannovenne costretta sulla strada e poi uccisa dai suoi aguzzini, condannati all’ergastolo e poi scarcerati, ha presentato una interrogazione al ministro della giustizia Andrea Orlando per chiedere “un intervento e una valutazione sulla legislazione”. Nel documento, firmato anche dai senatori Pd Maria Teresa Bertuzzi, Josefa Idem, Donatella Mattesini, Monica Cirinnà, Sergio Lo Giudice, Stefania Pezzopane, Lucrezia Ricchiuti, Francesco Giacobbe, Paola De Pin, Fabrizio Bocchino, Marino Germano Mastrangeli (Misto), la Puppato ha ricostruito brevemente la vicenda.

Paula Burci scompare dalla casa dei genitori a Segarcea, in Romania, a inizio 2008. Viene portata in Italia e avviata alla prostituzione da una connazionale, Gianina Pistroescu, 41 anni, e Sergio Benazzo, idraulico di 39 anni di Villadose di Rovigo. A un certo punto la giovane viene ceduta a un gruppo di malavitosi di una città vicina e finisce a lavorare in una locanda in provincia di Rovigo. Da qui fugge e torna a Villadose. I suoi aguzzini però la raggiungono e la massacrano in quattro o cinque a colpi di martello, forcone, calci e pugni. Paula perde conoscenza e la portano al margine di un bosco, nella zona golenale del Po, a Zocca di Ro, nel ferrarese. Nonostante respiri ancora, la brucia viva e coprono i resti carbonizzati con un tronco. I resti verranno ritrovati il 24 marzo del 2008.

“I giudici di Ferrara – ricorda la senatrice – stabilirono la propria competenza in quanto ritennero impossibile definire dove fosse stato compiuto l’omicidio, se infatti Paula Burci fosse morta a Villadose di Rovigo, dov’era iniziato il pestaggio, o se fosse invece morta a Ferrara, dove il corpo venne bruciato”. Il processo a carico di Benazzo e Pistroescu si chiude il 17 luglio 2012 con la condanna all’ergastolo della Corte d’assise, pena confermata dalla Corte d’Assise di Appello il 7 giugno 2013. Ma il 16 luglio 2014 la Cassazione annulla la sentenza per un’eccezione di competenza territoriale e ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Rovigo, dove il procedimento dovrà ricominciare dal primo grado.

Ma il vero paradosso deve ancora arrivare. Lo scorso 12 agosto l’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip rodigino viene rigettata dal tribunale del riesame di Venezia per decorrenza dei termini di carcerazione previsti dall’art. 303 del codice di procedura penale, con conseguente scarcerazione immediata di entrambi gli imputati e obbligo di dimora e di firma. Puppato rimarca come “nella motivazione dell’ordinanza del Riesame si fa richiamo ad “un intricato quadro normativo di riferimento che costringe l’interprete ad una faticosa opera di armonizzazione delle diverse e stratificate riforme legislative”. Per questo “chiediamo al ministro una valutazione sui fatti e sulla normativa, che presenta difficoltà interpretative tali da generare veri e propri paradossi”. Sotto ‘accusa’ in questo caso è il combinato disposto degli articoli 303 e seguenti del cpp, che disciplinano i termini di durata massima della custodia cautelare. A Palazzo Madama il ministro sarà chiamato a valutare “se l’ipotesi di regresso del procedimento per questioni di particolare complessità giuridica o di valutazione dei fatti non debba pregiudicare il possibile ricorso alla custodia cautelare in carcere”.

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