A otto mesi dalla cancellazione del divieto di fecondazione eterologa da parte della Corte Costituzionale, per le tante coppie italiane in lista, l’unica reale possibilità di avere un bambino con ovuli o spermatozoi di un donatore esterno è ancora riposta all’estero. Nel nostro Paese mancano infatti le donazioni di ovociti e si sta registrando un vero ‘boom’ di richieste di gameti esteri, tanto che la gran parte dei centri di fecondazione assistita sta stringendo contratti di collaborazione scientifica con varie banche di gameti europee, in particolare di Spagna, Grecia e Danimarca.

“Proprio in questi giorni – spiega Elisabetta Coccia, presidente di Cecos Italia (l’associazione che raggruppa i maggiori Centri italiani privati e convenzionati di fecondazione assistita) – stanno partendo i primi contratti. I centri Cecos si stanno muovendo in questa direzione ed anche il Policlinico Careggi di Firenze, uno dei pochi centri pubblici dove è partita l’eterologa, ha appena chiuso accordi con quattro banche di gameti europee”. Il punto, precisa Coccia, “è che la donazione di ovociti da parte di donne che fanno la fecondazione omologa, ovvero l’egg-sharing, non è sufficiente e pone anche dei problemi per l’età elevata delle donatrici italiane”, mentre nei centri esteri è tra i 20 e 35 anni. E più è giovane la donna, migliore sarà la qualità dei suoi ovociti e le probabilità di successo di una fecondazione. In Italia al momento non si hanno donazioni volontarie: all’ospedale Careggi, riferisce Coccia, “è stato attivato un numero ad hoc ma ad oggi ci hanno contattato solo uomini”.

Ma perché non decolla la donazione di ovociti? Due le ragioni secondo gli operatori. La prima è che è un percorso molto impegnativo, in termini giorni spesi nel fare analisi e controlli, di farmaci da prendere, cui si aggiunge un intervento chirurgico in day hospital per il prelievo degli ovuli. “Finché non sarà previsto un rimborso o un premio di solidarietà per la donatrice – continua Coccia – così come avviene all’estero, non riusciremo mai ad avere donatrici italiane”. Ma deve trattarsi di un rimborso, non di un guadagno “altrimenti si rischia di mercificare la donna – aggiunge Laura Volpini, presidente dell’Associazione italiana per la donazione altruistica e gratuita di gameti (Aidagg) – Va tuttavia detto che la motivazione economica da sola non basta a spingere una donna a donare i suoi ovuli. Anche in Gran Bretagna, Spagna o altri Paesi, dove le donatrici ricevono un rimborso, la donazione arriva a coprire il 45 per cento della richiesta”.

Per questo bisogna pensare a delle modalità per incentivare la donazione altruistica e gratuita. “Una può essere una sorta di scambio solidaristico – ipotizza Volpini – dove se una coppia riceve degli spermatozoi per la fecondazione, il partner fertile può donare i suoi gameti (in questo caso gli ovociti) ad un’altra coppia bisognosa, e viceversa”. Oppure un altro meccanismo potrebbe essere simile a ciò che avviene per le donazioni del sangue, dove se ad esempio in una famiglia una “sorella ha problemi di fertilità e l’altra no, questa può contribuire donando in modo anonimo i suoi ovociti al centro di procreazione assistita, che a sua volta userà sulla sorella infertile altri ovociti in modo anonimo”. Secondo Elisabetta Coccia invece un modo potrebbe essere quello di “far pensare alle donne giovani di conservare i propri gameti per un possibile futuro, a spese del Servizio sanitario o del centro, donandone una parte per altre coppie. In questo modo si potrebbe creare una banca”.

Ma c’è poi un altro problema alla base della scarsità di donazioni: la mancanza di informazioni. “Dopo 10 anni di legge 40, in cui sono mancate le banche con i gameti disponibili per l’eterologa, è normale che ci sia da aspettare ancora un po’ prima che si costituiscano delle altre banche. Ma ora la mancanza di informazioni sta danneggiando. Per questo è fondamentale avviare una campagna ministeriale informativa – rileva Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni – sulla donazione di gameti, così come abbiamo chiesto tante volte al ministro, anche con uno spot. Tra l’altro l’Italia può contare su normative europee e interne che assicurano la tracciabilità dei gameti, ne vietano la commercializzazione e assicurano l’anonimato del donatore”.

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