Forse, e lo dico con rammarico, il Teatrino Giullare ci aveva abituati fin troppo bene. Dopo il clamore positivo, qualche anno fa, del loro esordio con il Finale di partita beckettiano con in scena una scacchiera e i personaggi che vi agivano erano pupazzetti-pedine impantanati nello stallo del gioco come metafora dell’esistenza, dopo La stanza pinteriana avvolta da quel semplice mistero che fa dell’arte una sapienza carica di rigore e allo stesso tempo di coerente visionarietà. Ma c’erano stati, è giusto rammentarli, anche degli intoppi, delle cadute, degli inciampi nel percorso della compagnia-duo bolognese: Alla meta di Bernhard, ad esempio, come Coco da Koltes, non erano riusciti in quell’intento principe e valore fondante del gruppo di scardinare il processo-progetto dell’attore-non attore, intrecciandosi, ingarbugliandosi, nascondendosi in artifici scenici senza un reale costrutto. Quello che ne derivava e ne usciva sembrava più un risultato a tavolino, una messinscena fredda, compunta, precisa ma senza linfa né sangue.

Teatrino giullare_Le Amanti_3

In questo nuovo Le amanti, che rientra nel grande progetto Festival Focus Jelinek dedicato alla scrittrice Premio Nobel per la Letteratura 2004 Elfriede Jelinek partito ad ottobre dello scorso anno e che terminerà a marzo prossimo (il programma completo su festivalfocusjelinek.it) con appuntamenti in tutta l’Emilia Romagna, la compresenza di attori in carne e ossa e fantocci risulta ancora più stridente rispetto al passato recente. Se in Finale di partita gli attori si autoemarginavano nel buio essendo solamente il braccio che muoveva il vero protagonista cioè i pupazzi sulla scacchiera, se ne La Stanza vi erano soltanto ombre e maschere, in Coco pezzi di corpo che fuoriuscivano da abiti e arredamento così come in Alla meta, qui si ha questo connubio che in parte disconosce l’incipit e l’approdo ideologico di fondo. Nel mezzo ad una scena messa su con pochi mezzi, scatoloni da imballaggio tra teatro povero e teatro ragazzi, una narra(t)trice-oratrice didattica e didascalica porta, introduce, tira i fili, riallaccia, taglia e cuce parti del romanzo. Accanto a sé ha due fantocci, quasi bambole gonfiabili porno deformate.Teatrino Giullare _ Le Amanti_1

La storia della Jelinek, le storie, come quelle dei grandi narratori, sono anche il piacere della scrittura e della conseguente lettura, e se vengono riassunte, frullate, centrifugate, perdono sapore arrivando ad un sunto, come quello fatto dal Teatrino Giullare, che ha poco di sapido, di intrigante, di interessante. Due donne accomunate da uno stesso passato e destino, entrare in fabbrica per emanciparsi (e qui si può ritornare al 7 minuti di Stefano Massini), perché il lavoro porta benessere, per poi cercare un uomo che le sposi e con il quale costruire una famiglia e che, in definitiva, le “salvi” da quello stesso loro desiderio e sogno, per ingabbiarle in altri schemi, in altre routine di quattro mura, faccende domestiche, figli.

Anche l’uso dei plastici (che fa tanto Porta a Porta) sembra trasandato e trascurato, mancante di suggestioni, poesia e fascino, di magia, richiamando ancora una volta quel teatro ragazzi rivolto più alla comprensione che all’accoglienza delle idee. Tra il manichino, che ripeto sembra uscito da un sexy shop ed anche questo realizzato male, quanto meno storpiato e sgorbio, e gli attori non si intavola mai una vera e propria dinamica di scambio, di reciprocità, di vicinanza e respiro. Troppa è la distanza tra questa voce fuori campo, in realtà molto invasiva e invadente, molto dentro e centrale al lavoro, e le due donne- fantoccio.

Certo, potremmo dire che i burattini giganti al femminile mossi costantemente da qualcun altro richiamano in modo inequivocabile la condizione della donna in larga parte del globo, a qualsiasi latitudine, una donna che deve seguire ed eseguire, che deve sottostare alla famiglia o al padre o al marito, che deve essere contenitore, che deve essere protetta, che si deve emancipare ma mai troppo. La storia si schiaccia e si banalizza leggermente, ilarizzando sulle posture machiste dello stereotipo maschile. Manca qualcosa a questo lavoro, anima e profondità, tutto scorre senza segnare.

Teatro Studio Scandicci, Firenze

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