Circola la proposta di far pagare il ticket anche a chi ha più di 65 anni. L’esenzione resterebbe solo per gravi patologie, famiglie numerose e redditi bassi. Se fosse accolta si tratterebbe di un’occasione persa per correggere le incongruenze più significative del sistema di compartecipazione.

Un ticket per tutti

La proposta è circolata sui giornali nei giorni scorsi: le Regioni stanno pensando di rimodulare il sistema della compartecipazione alla spesa (il ticket) eliminando l’esenzione automatica per chi ha più di 65 anni e un reddito annuo non superiore a 36.151,98 euro. L’esenzione – questa la dichiarazione all’Ansa del coordinatore degli assessori Luca Coletto – rimarrebbe solo per gli ultrasessantacinquenni con una pensione sociale (se interpretiamo bene dovrebbe equivalere ad abbassare a 5.818,93 euro la soglia di reddito) e verrebbe estesa a chi ha (non meglio specificate) patologie gravi, ai disoccupati e alle famiglie numerose. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, si è però affrettato a precisare che la proposta non è condivisa da tutte le Regioni. Vedremo come andrà a finire. Al momento la proposta – che doveva arrivare entro il 30 novembre scorso, ma se ne comincia a parlare solo ora – sembra più una boutade per testare le reazioni che non una vera e propria proposta di indirizzo al ministero della Salute.

Immaginiamo di prenderla sul serio. La ridefinizione del sistema di compartecipazione della spesa è prevista dall’articolo 8 del patto per la salute 2014-2016 firmato nel luglio scorso: si parla di un sistema chiaro e semplice da applicare, basato sulla condizione reddituale e sulla composizione del nucleo familiare; solo successivamente si potrà considerare l’Isee. Si prevede anche l’invarianza di gettito a livello regionale: non dovrebbe cambiare quindi quanto si paga, dovrebbe cambiare chi paga, per evitare che la compartecipazione rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi e alle prestazioni.

Che cosa succederebbe nelle diverse Regioni se la proposta fosse accolta così come è stata raccontata? La tabella 1 mostra le entrate da ticket per il 2013: a livello nazionale, considerando i dati della Corte dei conti, si arriva a più di 2,9 miliardi di euro, meno del 3 per cento del finanziamento complessivo per il Sistema sanitario nazionale previsto per lo stesso anno (il dato potrebbe essere sottostimato: non è chiaro se la Corte abbia incluso il ticket da strutture convenzionate). Circa la metà (1,4 miliardi di euro) è la compartecipazione al prezzo dei farmaci (inclusa la quota fissa per ricetta); il resto è la compartecipazione alla spesa per prestazioni (specialistiche, pronto soccorso, e così via). In termini pro-capite si pagano in media 50 euro, ma la variabilità fra le Regioni è marcata: per i 66 euro pagati da ogni veneto e i 60 versati dai toscani, si scende ai 39 euro pagati in Calabria, ai 38 in provincia di Trento, fino ai 32 della Sardegna. Tralasciando gli esenti per patologia, difficili da mappare, gli individui oggi esenti con più di 65 anni e meno di 36mila euro di reddito annuo sono 11,6 milioni (tabella 2).

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Nel caso in cui venisse realizzata la proposta regionale (individui in famiglie numerose, disoccupati e individui con più di 65 anni e pensione sociale, sempre tralasciando chi non paga il ticket a causa di patologie gravi) sarebbero molti meno: 4,3 milioni in base alle nostre stime (tabella 2). Si allargherebbe quindi il numero dei paganti, con ovvie differenze a livello territoriale: in Liguria si arriverebbe al 20 per cento in più sull’intera popolazione; in Calabria solo al 3,9 per cento. Se vale la parità di gettito, il ticket medio (includendo sia la componente regionale sia quella nazionale) dovrebbe ridursi, naturalmente di più nelle Regioni dove maggiore è l’aumento del numero dei paganti.

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Nella tabella 3 abbiamo ricalcolato il ticket medio su chi paga con le regole in vigore oggi (più alto rispetto a quello determinato dalla Corte dei Conti) e il ticket medio su chi pagherebbe domani per arrivare ai 2,9 miliardi di gettito attuale: a livello nazionale, la riduzione stimata dovrebbe essere del 13 per cento; con forti differenze regionali: per guardare di nuovo agli estremi, in Liguria il calo dovrebbe assestarsi al 21 per cento, in Calabria al 4 per cento.
Le Regioni non hanno parlato di riduzione del ticket, ma se non lo si fa allora viene il sospetto che l’operazione sia guidata dai tagli imposti dalla Legge di stabilità, altro che maggior equità del sistema.
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Un sistema da rivedere

Perché non si sfrutta invece l’occasione per rivedere sul serio la compartecipazione e per correggerne le incongruenze più significative? Le disparità di trattamento rimangono evidenti anche con la bozza di proposta delle Regioni: i poveri ci sono a tutte le età e non sono rappresentati solo dai disoccupati; né sono necessariamente povere tutte le famiglie numerose (che si possono aiutare meglio rivedendo le detrazioni per carichi famigliari in ambito Irpef o il sistema degli assegni al nucleo familiare). Se si vuole eliminare l’esenzione automatica per gli anziani per favorire l’equità nell’accesso, allora sarebbe auspicabile l’introduzione di una soglia di reddito valida per tutti.

In secondo luogo, l’uso del reddito per definire soglie di accesso ai servizi sociali è pericoloso in un paese dove l’evasione fiscale e la mancanza di controlli continuano a essere un problema. Meglio sfruttare fin da subito il nuovo Isee (soprattutto perché sembra funzionare e perché alcune regioni già lo usano). Anche il sistema attuale delle esenzioni per patologia sembra più il risultato di pressioni lobbistiche che non un modo per aiutare davvero chi si trova in difficoltà.
Andrebbe rivisto e dovrebbero migliorare i controlli, anche sui prescrittori. E qui sta un punto importante: il ticket dovrebbe essere pensato come strumento di controllo della domanda, molto spesso inappropriata. Si consumano servizi, anche se non strettamente necessari, tanto non si pagano. Il punto è che i servizi non li paga nemmeno chi li prescrive per gli esenti: c’è quindi una responsabilità anche da parte dei medici (specialmente quelli di medicina generale), che – vuoi per ragioni difensive, vuoi per negligenza – prescrivono farmaci ed esami diagnostici che non servono a nulla. A quando una riflessione su questo tema?

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