Quando le telecamere di sorveglianza degli uffici postali hanno svelato il volto del responsabile di quelle lettere anonime, in fila allo sportello per spedire le sue buste, gli investigatori sono rimasti senza parole. Era un pensionato di 77 anni, senza precedenti, colui che per ben tre volte aveva spedito a Giuseppe Giangrande, il sottufficiale dei carabinieri ferito gravemente davanti a Palazzo Chigi il 28 aprile 2013, delle raccomandate postali, con il mittente falso, piene di ingiurie: “Spero non guarisca perché siete responsabili delle morti di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva”. Quando i carabinieri di Imola si sono presentati nella sua casa lui non ha opposto alcuna resistenza: “Sono stato io. Ero arrabbiato e indignato con le istituzioni e volevo sfogarmi”. L’uomo, ritenuto capace di intendere e volere, ora andrà davanti al giudice di pace con l’accusa di ingiurie.

Tutto inizia a maggio 2014 quando al centro specializzato di riabilitazione di Monte Catone, nell’imolese, dove il sottufficiale è stato ricoverato fino a novembre, giunge una prima lettera. Nelle settimane precedenti Giangrande era stato ricoverato per un peggioramento delle sue condizioni. Ad aprire la busta è sua figlia Martina: “Siete delle belve – si legge nella lettera – Qualche sbirro e carabiniere è morto, ma sono di più i cittadini inermi da loro uccisi”. Poi il mittente, che sulla busta usa un nome falso, lascia intendere di essere informato sulle condizioni: “Ho saputo del nuovo ricovero di suo padre, non mi fa minimamente pena, gli auguro di rimanere così tutta la vita e non mi rallegro di sapere che le sue condizioni, come ho appreso in tv, siano leggermente migliorate”. Poi il riferimento ai casi Cucchi, Aldrovandi, Uva, Magherini e a un fatto personale: un controllo subito dalle forze dell’ordine dopo essere passato con un rosso semaforico.

Ecco poi una seconda lettera, stesso mittente falso, stessa scrittura, e ancora la particolarità della spedizione per raccomandata: “Non le auguro alcuna guarigione Giangrande”. E poi: “L’Arma cambi motto, non ‘fedele nei secoli’, ma ‘onesti nei secoli’”. Dopo una terza lettera Martina Giangrande decide di sporgere denuncia, preoccupata per quelle ingiurie e temendo dietro potesse esserci un mitomane o qualcuno che volesse di nuovo attentare alla vita di suo padre. Il caso viene preso in mano direttamente dal procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini. Subito i carabinieri della compagnia di Imola, comandati dal capitano Claudio Gallu, notano un particolare: la grafia è ‘tremolante’. Dunque, azzardano un’ipotesi: è una persona anziana, che peraltro ha spedito il tutto per raccomandata: quindi non ha imbucato la lettera, ma è andato al bancone. Gli investigatori si fanno dare le registrazioni a circuito chiuso dei due uffici postali da cui sono partite le lettere vengono subito visionate nelle date riportate sui timbri delle raccomandate. E in poco tempo gli uomini dell’Arma risalgono al vecchietto.

Alla fine del 2014 il pm Giovannini ordina così una perquisizione per accertarsi che davvero il responsabile sia il pensionato. Lui, di fronte ai militari che si presentano alla porta non si scompone: “Ero indignato, perché l’Italia è un paese corrotto”. Ora, con l’accusa di ingiurie, si presenterà davanti al giudice di pace di Bologna. “Sono lettere dal contenuto oltre che ingiurioso, crudeli sul piano umano”, ha commentato Giovannini.

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