Non ne sapevano nulla. Di Charlie e delle penne stilografiche che ancora si usano per i bozzetti. Non erano al corrente della manifestazione di Parigi. Sapevano poco o niente di Hollande. Neppure ricordavano bene dove volevano andare. Mamadou, della Guinea dove Ebola diminuisce, mostra la cicatrice ben visibile nel cranio rasato da poco. L’hanno picchiato mentre tentava di dare l’assalto alla rete metallica di Melilla nel Marocco. La città è difesa da una serie di ostacoli per ferire i passaggi dei migranti in territorio spagnolo. Tre reticolati di 6 metri corredati con lame reintrodotte dalle autorità spagnole. Feriti alle mani, al costato, alla testa e soprattutto negli occhi per sempre. Mamadou ha capito che le parole sono lame e le lame parole taglienti. Ha deciso di tornare a casa e di riprendere a fare il commerciante di cose inutili e senza prezzo. La ferita alla testa gli ricorda che i poveri non passano impunemente le frontiere. Oggi inizia la Coppa d’Africa delle Nazioni.

Era già accaduto un’altra volta. Hanno bruciato ancora la chiesa di Zinder. Prima capitale del Niger che dista a un migliaio di chilometri da Niamey. All’uscita della cattedrale di Niamey c’è la camionetta dei militari armati di paura. Proteggono quanto rimane della convivenza tra i cittadini dello stesso paese e del mondo. La bandiera è quella nera del lutto che i morti neanche possono fare. Rimangono sulla strada e poi sepolti in fretta per non lasciare traccia. Dopo la preghiera del venerdì sono i simboli della Francia a bruciare. Bruciano anche quelli degli interessi di chi la Francia ha sempre rappresentato. Anche ad Agadez c’è stato un tentativo di saccheggio poi frustrato dalle forze dell’ordine ormai tradito. Alcuni morti e poi quelli che verranno in seguito. Parole come armi e armi come parole che feriscono la testa di Mamadou che parte domattina. Con lui parte l’amico con cui sono stati traditi in Algeria. Lui faceva di mestiere il manovale e dimenticavano di pagarlo.

Potranno perdonargli di rubare. Di giocare al dittatore piccolo. Di essere amico della Francia e di trescare con gli Stati Uniti. Di arricchirsi con la Cina. Di eliminare gli avversari politici. Di comprarsi un aereo quasi nuovo con un sofisticato annesso comunicativo. Di viaggiare quasi sempre. Di aver anticipato impunemente l’inaugurazione della ferrovia. Di blindare la città quando esce la mattina e non torna la sera. Di tutto sarà perdonato. Ma non di essere stato al fianco di Hollande per la manifestazione “mondiale” di Parigi sulle libertà. Non gli sarà mai perdonato di aver portato con sé il vescovo cattolico e il rappresentante delle associazioni musulmane. Di aver camminato assieme per difendere la libertà di disegnarla con le matite a forma di lama. Di non aver spiegato prima che una cosa è uccidere e l’altra disegnare la morte. Di non aver capito che i simboli sono come i reticolati di Melilla e le foreste di Nador. Di non aver calcolato la dignità del popolo.

Neanche loro sapevano nulla di Charlie. In fondo di queste cose non gli interessa nulla. Sono questioni da benpensanti che fabbricano e vendono milioni di copie. Nessuno può permettersi di comprare quel giornale se non si ha di che nutrisi l’indomani. Sono battaglie da retrovia oppure da salotto. Sanno che è più importante liberare la parola dei poveri. Dei giornali sanno poco o niente. Al massimo vorrebbero arrivare in Europa evitando le prigioni di chi li arresta per i soldi. Devono chiamare a casa per farseli mandare e poi continuare il viaggio. I giornali satirici non sanno niente di questo e raccontano inutili conferme per i potenti del momento. Ismael era partito l’anno scorso con la qualifica di sarto. Sapeva cucire gli abiti finché Ebola gli ha chiesto di indossare la morte. Prima di provare la taglia è scappato per fare il manovale nei cantieri di Algeri. Con i suoi 23 anni rammenda il passato e cuce modelli di futuro.

Ibrahima pensa a sbarcare il lunario. Dalla Guinea è finito in Costa d’Avorio, poi ha attraversato il Burkina Faso. Scavalca il Niger e si trova nella solita Algeria che nega l’esistenza agli africani di pelle nera. Schiavi o niente. Mendicanti quanto basta o al massimo concubine per gli harem col petrolio dal prezzo in ribasso. Torna dalla disperazione e tiene stretti tra le mani i suoi 22 anni col profilo di sabbia. Sono insieme a Souleymane che a 25 anni fa la figura del patriarca.Voleva andare in Marocco e per distrarsi ha cominciato a fare disegni sulla sabbia.

Niamey, gennaio 2015

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