Prima vessate dal governo. Ora destinate a rimanere in una situazione di estrema incertezza, non si sa ancora per quanto. È il destino delle partite Iva aggiornato alle ultime dichiarazioni dei politici. Il premier Matteo Renzi, di solito poco incline all’autocritica, ha definito l’aumento dal 5 al 15% della tassazione agevolata “autogol clamoroso”. E il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha annunciato di voler incontrare i rappresentanti dei giovani freelance, colpiti a inizio anno, oltre che dall’inasprimento del regime fiscale “dei minimi”, anche dall’innalzamento dei contributi da versare alla gestione separata dell’Inps. Ma per ora nessuna convocazione è arrivata né all’Associazione consulenti terziario avanzato (Acta), né ad Alta Partecipazione e Confassociazioni, le organizzazioni che portano avanti la protesta di molti consulenti senza albo, professionisti del settore creativo ed esperti di nuove tecnologie.

Eppure la prima marcia indietro il premier l’aveva fatta già prima di Natale, parlando della necessità di un intervento correttivo alla legge di Stabilità: “Mi assumo la responsabilità di fare un provvedimento ad hoc nei prossimi mesi”. Ma adesso che di mesi ne è passato quasi uno, ancora nulla si è mosso. E chi vuole aprire una partita Iva o ce l’ha già non sa che fare. “Molti di noi progettano addirittura di andare all’estero – spiega la presidente di Acta Anna Soru -. Una soluzione indicata per chi svolge attività che non hanno bisogno di una sede in Italia, come le traduzioni o i lavori sul web”. E non è l’unico escamotage per sfuggire al salasso scattato l’1 gennaio per quanto riguarda i contributi previdenziali dovuti dai liberi professionisti iscritti alla gestione separata, la cui aliquota è passata dal 27,72 al 30,72 per cento e in futuro è destinata a salire fino al 33,72 con un incremento di un punto all’anno. “Altre possibilità sono quelle di trasformare la propria attività da libero professionista in commerciante o artigiano e aprire una società, come una sas (società in accomandita semplice)”.

Ma il punto non è solo questo. Perché sotto accusa ci sono anche l’incremento dell’aliquota forfettaria del regime dei minimi, passata dal 5 al 15%, e la riduzione delle soglie per beneficiarne. Il governo dovrebbe intervenire anche qui, ma nessuno sa quando e come lo farà. “Questa incertezza non va bene – accusa Soru -. Chi ha già aperto una partita Iva non sa come comportarsi con la gestione separata dell’Inps. E chi vuole avviare un’attività ora, non sa se aspettare di vedere che cosa succederà o se attivarsi subito. Questo non è il modo giusto per incentivare la crescita dell’occupazione, perché di occupazione stiamo parlando”.

La situazione di incertezza non salva neppure commercialisti e tributaristi: “Anche noi consulenti non sappiamo cosa consigliare ai nostri clienti, se dire di aspettare le modifiche al regime dei minimi o di aprire la partita Iva con il regime ordinario, paradossalmente più conveniente al nuovo regime forfettario”, spiega Giorgio Infranca, avvocato tributarista dello studio Roveda e associati di Milano. Ad aumentare la confusione generale è arrivata nei giorni scorsi dall’Agenzia delle entrate pure una nuova informazione: chi apre una partita Iva entro fine gennaio può chiedere di usufruire del vecchio regime fiscale agevolato. Dal momento che per aprire la partita Iva c’è un mese di tempo dall’inizio dell’attività, basta averla avviata entro il 31 dicembre 2014. Tale possibilità – scrive Italia Oggi – “è stata espressamente confermata, via sms, dal contact center dell’Agenzia delle entrate in risposta a un dubbio sollevato da alcuni commercialisti”.

Una soluzione che rende inutile la corsa di fine anno ad aprire partite Iva: il ministero dell’Economia a novembre, ultimo dato disponibile, ha registrato un boom: +15,5% rispetto a novembre 2014. Chi si è mosso a novembre, come chi ha aperto la partita Iva a dicembre o chi deciderà di farlo entro la fine di gennaio, dovrà essere in grado di dimostrare che la propria attività è davvero iniziata nel 2014, pena la possibilità di ritrovarsi nei prossimi anni una contestazione dal Fisco, che ha quattro anni di tempo per fare l’accertamento.

Al di là dell’incertezza denunciata, la presidente di Acta ammette la soddisfazione per il riconoscimento da parte del governo dei propri errori. E in attesa che la convocazione arrivi per davvero, anticipa quali saranno le richieste dei freelance: “Per quanto riguarda la gestione separata dell’Inps non vogliamo solo il blocco dell’incremento dei contributi scattato a inizio anno, ma l’omologazione con gli altri autonomi. Chiediamo quindi di scendere a un’aliquota del 24%, pari a quella a cui arriveranno a regime artigiani e commercianti. Perché noi dobbiamo salire invece al 33,72%?”. In ambito fiscale, Soru parla invece della necessità di trovare un accordo con l’esecutivo che tenga conto anche dei difetti del vecchio regime dei minimi, come quello di favorire i giovani più degli over 35. E che riveda il sistema di detrazioni e la no tax area per gli autonomi, oltre che la loro esclusione dal beneficio del bonus Irpef da 80 euro. Insomma, conclude Soru, “chiederemo un nuovo patto fiscale”.

Twitter: @gigi_gno

Articolo Precedente

Ridurre l’orario di lavoro? L’idea rilanciata nel libro di Craviolatti

next
Articolo Successivo

Ilva, fornitori: ‘Nostri crediti saranno azzerati’. Aziende ferme, lavoratori a casa

next