E così, una sera a Bari, capita di trovarsi a cena con alcuni dei più grandi sceneggiatori americani. Christopher Vogler, James V. Hart, Claire Dobbin, insieme ad altri nomi del dietro le quinte di Hollywood, sono riuniti nel capoluogo pugliese in qualità di docenti del workshop organizzato dalla Apulia Film Commission e Puglia Film Experience. Tre intense settimane di masterclass per studenti d’eccezione: sceneggiatori, scrittori e registi selezionati da ogni parte del mondo.

È una cornice entusiasmante. Fortunatamente vengo invitato a tenere una lezione a proposito del mio ultimo disco, The Hero’s Journey, ispirato dal, e interamente basato sul best seller di Chris Vogler, professore alla Ucla di Los Angeles. Si tratta di un testo considerato una vera e propria Bibbia da tutti i professionisti del settore. The Wrtiter’s Journey (pubblicato in Italia con il titolo Il Viaggio dell’Eroe) è un vero e proprio manuale di scrittura che descrive le tappe di ogni viaggio mitico; una sorta di archetipo che, prescindendo dal luogo e dal tempo, enuclea ed analizza la struttura delle sceneggiature cinematografiche su un arco di tempo vastissimo. Si tratta di un pattern (nel senso in cui lo intendeva la Ruth Benedict) estremamente colto, perché fondato sugli studi di Joseph Campbell che, a sua volta, aveva condotto analisi simili all’interno delle narrazioni mitologiche.

Vogler, il mio ospite ospitante, è persona di grandissimo carisma e simpatia: story analist di oltre seimila sceneggiature per le più importanti Major americane, dalla Warner Bros alla 20th Century Fox, nonché consulente Disney per film popolari di grande successo quali La Bella e la Bestia e La Sirenetta, ha collaborato alla realizzazione di capolavori quali La Sottile Linea Rossa, The Wrestler e altri ancora…

Devo confessare che questa esperienza a diretto contatto con grandi professionisti dell’industria cinematografica main stream, ha confortato alcune delle convinzioni che hanno sempre accompagnato la mia passione per il cinema.

Ad esempio, e fra le tante, Vogler mi conferma che nelle grandi produzioni internazionali, l’attenzione riservata alla strutturazione della sceneggiatura è l’elemento cardine in assenza del quale non si può nemmeno prendere in considerazione la realizzazione di un’opera. Anche in questo campo, che parlando in senso stretto non è quello mio professionale, vedo riapparire la vecchia diatriba tra la creatività e il metodo (ma perché non dire apertamente la costrizione?).Chris Vogler 1

Non c’è dubbio che, come sottolinea Hart, parte del merito sia da attribuirsi al talento degli sceneggiatori, ma un ruolo imprescindibile lo svolge anche il sistema entro il quale il lavoro prende corpo. Un sistema che attribuisce allo script un ruolo di assoluta preminenza, e lo stesso testo di Vogler, è la rappresentazione plastica di quanto il metodo sia decisivo nell’incanalare la creatività, che altrimenti, rimarrebbe qualcosa di astratto. Il metodo, dunque, è assolutamente fondamentale per la realizzazione di prodotti trasmissibili.

Per me, è stato inevitabile stabilire un parallelismo con il nostro cinema attuale e ciò facendo, mi sono reso conto del fatto che la prima cosa da fare è chiarire un equivoco. I nostri autori, hanno sempre la tendenza a lamentarsi di dover realizzare i propri film con dei budget che sfiorano la miseria. Ora, se è del tutto evidente che il cinema nostrano non può competere con quello statunitense sul piano della spettacolarità o delle tecniche visive, è altresì vero che, proprio la scarsezza di mezzi (come i grandi neorealisti italiani sapevano bene e, ancora oggi osannati dagli autori americani) richiede una narrazione coerente, potente e ben strutturata. Paradossalmente, è un film come Interstellar di Nolan a potersi permettere una sceneggiatura lacunosa (non dico che lo sia), non certo l’Ultimo Bacio di Gabriele Muccino. Insomma, proprio come hanno insegnato Rossellini ed altri neorealisti, sono i film a basso costo che hanno bisogno degli Zavattini. Una lezione ben recepita da registi come Clint Eastwood, Sean Pen o Night Shaiamalan ma anche da alcuni registi europei che hanno realizzato pellicole di grande fascino con budget molto modesti: penso a film come Le vite degli altri, il Sospetto, l’Eredità, ecc…

Confesso di essere stanco di continuare ad ascoltare che il grande cinema italiano è quello del passato, ma, devo ammettere, che in gran parte è vero; sono però anche stanco di sentire lamentele circa complotti delle grandi distribuzioni nei confronti dei nostri film, di inaudite miserie entro i quali essi verrebbero sviluppati. Benigni, Moretti e Garrone, hanno prodotto film a basso costo, e sono noti in tutto il mondo. Il fatto che la maggior parte delle nostre produzioni non superi le Alpi, per non dire che a volte si fermano addirittura a Bologna, è un dato amaro, ma inoppugnabile.

E la musica? Una delle lezioni a cui ho assistito, è iniziata con la proiezione del film The Vikings di Richard Fleischer (1958). Gli appassionati di cinema sanno che Fleischer è stato un grandissimo artigiano in grado di realizzare dei film pregevoli a bassissimo costo. È stata dunque doppiamente intelligente la scelta dei docenti di proporre un film artigianale per mostrare l’efficacia della musica. In un primo momento, sono state mostrare delle sequenze a cui era stata sottratta la musica e subito dopo, la stessa scena veniva riproposta con la colonna sonora originale. Lo stupore dei presenti del seminario è stato molto significativo poiché si trattava di tutti professionisti del settore. Persino dei professionisti dovevano constatare che la differenza non risiedeva solo nel fatto che la scena priva di musica fosse meno bella o meno accattivante, ma nel fatto che, in non pochi casi, la scena depauperata dalla musica non significava assolutamente più nulla.

Per un musicista, è stato entusiasmante vedere che autori importanti come Vogler, Hart e Dobbin (nessuno dei quali musicista) considerassero la musica come un elemento fondativo per la riuscita di un film. Per loro, il contributo musicale ha una tale potenza nel generare l’immaginazione visiva di un film che, di norma, accompagnano le loro fasi creative con musiche già esistenti e questo al fine di poter dar luogo ad una maggiore armonia tra le parti. Questa collaborazione tra musica e immagini, diventa addirittura imprescindibile nella fase dell’edizione in cui il montatore non procede nel suo lavoro in assenza di musica, pratica nota agli addetti ai lavori come scratch track. Nella fase di elaborazione del film, la musica viene considerata di un’importanza così cardinale da generare paradossalmente non pochi problemi ai musicisti stessi. Accade spesso che, quando un produttore o un distributore assistono alla proiezione di quella che viene chiamata fase di pre montaggio, desiderino poi che la musica definitiva del film, non si discosti troppo da quella che hanno già ascoltato. La qual cosa, spiega le non poche “imitazioni” cui sono stati costretti molti musicisti americani… Certo, nasce il problema di comprendere perché dopo tutto non si usino le musiche originali, come spesso fa il cinema francese, ma questa è un’altra storia…

Qualcuno potrebbe dire che nel panorama del cinema italiano esistono pellicole come Gomorra, Reality, La grande Bellezza, che hanno instaurato con la musica un rapporto sinergico. Il primo concedendosi un silenzio wagneriano, il secondo e il terzo, con degli score di tutto rispetto. Ma, basta qualche rondine a far primavera?

Ah! A proposito, lode alla Regione Puglia che, in un panorama a dir poco desolante, pare sia decisa a continuare a sostenere iniziative culturali e per di più di alto livello.

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