Appena arrivata a Londra mi stupivo delle frequenti conversazioni su quale scuola le persone di cui si parlava avessero frequentato. Non su cosa avessero studiato all’università o che voti avessero preso alle superiori ma proprio a quali scuole fossero andati. Ci sono molti motivi culturali e storici per quest’ossessione tutta britannica, e ultimamente la questione è al centro delle riflessioni sulla mobilità sociale tra generazioni e cioè la correlazione tra gli stipendi dei padri e quelli potenziali dei figli.

Non è difficile capire perché la scuola frequentata sia un indicatore tanto importante se si considera che in Uk storicamente solo il 7% della popolazione frequenta una scuola privata ma oltre il 70% dei giudici e il 43% dei giornalisti è stato educato privatamente. Lo stesso vale per un terzo del Parlamento in carica, con 13 scuole che da sole hanno educato il 10% dei parlamentari. Questo trend esiste in tutte le professioni di prestigio. Persino nello sport: il 35% della nazionale di rugby e il 33% di quella di cricket hanno frequentato scuole private (dati della Social Mobility Commission, 2014)

Anche in Italia il problema sta diventando sempre più pressante e purtroppo condividiamo con Uk e Stati Uniti il podio dei Paesi che hanno alta disuguaglianza e mobilità sociale bassa o addirittura discendente.

Economic Policy Reforms, Going for Growth - OECD 2010
Economic Policy Reforms, Going for Growth – OECD 2010

 

Anche in Italia naturalmente esiste una correlazione tra livello di istruzione, stimoli ricevuti in famiglia e situazione socioeconomica famigliare. E a un alto livello di istruzione corrispondono maggiori possibilità di lavoro. Però è da notare che i nostri laureati faticano più dei coetanei in Spagna o Francia ad inserirsi e collocarsi adeguatamente nel mercato del lavoro e beneficiano meno della mobilità sociale offerta da un più alto titolo di studio.

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Quindi a fare la differenza non sono tanto le scuole frequentate quanto quello che succede dopo il diploma o la laurea. Quello sembra infatti essere il punto in cui si crea una forbice di opportunità, basata spesso sulla possibilità della famiglia d’origine di mantenere i giovani durante lunghi stage poco pagati, praticantati o scuole di specializzazione. La classe sociale di origine quindi influenza notevolmente le aspettative future e la condizione occupazionale e sociale dei giovani.

Per quasi tutto il XX secolo, crescita economica e maggiore accesso a educazione secondaria e universitaria hanno fatto sì che in Italia la mobilità fosse generalmente ascendente. La frenata sembra essere cominciata verso la fine degli anni 80/inizio degli anni 90, quando il rallentamento dell’economia ha iniziato a ridurre le possibilità, per le nuove generazioni, di raggiungere posizioni professionali più elevate di quelle della loro famiglia d’origine. I dati sembrano suggerire che ormai ci troviamo in una condizione di mobilità discendente.

All’inizio degli anni 2000, quando ho finito l’università si parlava di ‘Generazione Mille Euro’ perché quello era lo stipendio tipico dei neolaureati. Ci lamentavamo senza troppa convinzione e in effetti a vedere i dati attuali, devo riconoscere che la mia generazione è stata relativamente fortunata.

Il rischio di peggiorare rispetto alla condizione del padre (mobilità discendente) inizia ad essere un problema per i nati dalla fine degli anni 60 in poi. Un rapporto Istat del 2012 suggerisce che il trend sembra continuare: il 29,5% dei nati nel periodo 1980-1984 si sono trovati, al loro primo impiego, in una classe sociale più bassa di quella dei loro genitori, e meno di un sesto di essi sembra essere riuscito a migliorare la propria posizione rispetto a quella di origine.

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Ovviamente un legame tra accesso alle professioni e background famigliare esiste ovunque ed è impossibile eliminarlo completamente. E’ però chiaro che ambienti socialmente omogenei siano problematici non solo da un punto di vista etico, ma anche perché è ben documentato che la equità e meritocrazia portino benefici molto concreti a livello sociale ed economico.

Per questo motivo in Uk il dibattito su come migliorare le cose è diventato importantissimo e dal 2011 esiste una commissione governativa, la Social Mobility Commission, che monitora sistematicamente la mobilità sociale e propone riforme e politiche mirate. Le iniziative si concentrano sull’accesso alle professioni e la formazione a 360 gradi: partono da interventi sulle scuole d’infanzia, seguono gli studenti lungo tutto il percorso scolastico fino agli stage lavorativi negli ultimi anni delle superiori e all’università. I datori di lavoro sono incentivati a offrire stage retribuiti al di sopra del salario minimo (che per il 2014 era di circa 8,30 euro all’ora), per agevolare l’accesso alle professioni anche per giovani che non hanno una famiglia abbiente alle spalle.

Si sta cercando di modificare radicalmente comportamenti sedimentati nella società e ci vorranno anni prima che gli obiettivi delle riforme vengano raggiunti. E perciò è essenziale che tutti, settore pubblico, aziende, università si impegnino a fare la loro parte.

In Uk quindi sempre più aziende e associazioni di settore si impegnano formalmente a rivedere processi di selezione perché siano il più possibile inclusivi e aperti. Centinaia di organizzazioni ogni anno invitano ragazzi di ogni background a passare una giornata con i manager più senior scoprire le opportunità offerte dal settore ma anche dare la loro opinione sui problemi e le soluzioni che i manager stanno considerando. La Social Mobility Foundation, col supporto di partner di peso come il Parlamento, Santander, e Accenture, promuove da anni iniziative che aiutano ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito ad espandere i loro orizzonti personali e professionali.

A livello locale imprese sociali come, Arrival Education di Londra cambia la vita di migliaia di ragazzi che spesso vengono da famiglie molto problematiche, attraverso programmi biennali che prevedono esperienze formative di ogni tipo, dal teatro agli stage estivi. Arrival Education lavora con le scuole, le famiglie e le aziende, che incoraggiano i loro dipendenti a diventare veri e propri mentori dei ragazzi.

E i primi frutti delle riforme li vedo ogni estate anche nel mio ufficio. Dal 2011 il governo britannico ha vari programmi di internship e apprendistato riservati a giovani provenienti da contesti socio-economici svantaggiati. Sono migliaia i ragazzi che hanno potuto scoprire una realtà professionale che credevano non fosse accessibile e che invece si impegna a offrire loro opportunità concrete. Ecco, non sarà una soluzione a tutti i problemi, ma non è comunque inizio?

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