Questo Papa, che parla di far cessare lo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, non piace a settori consistenti della Chiesa: appare troppo marxista. Questo Papa, che verso le 7 di sera a Santa Marta va alla mensa self-service con il suo vassoio (infatti a quell’ora il personale non serve più ai tavoli), non piace a vescovi e cardinali che esigono l’evidenza della “sacralità” del papato. Questo Papa, che ribalta lo sguardo della Chiesa sui gay, inquieta una parte della gerarchia. Ha commentato negli Stati Uniti il cardinale Francis George, ex arcivescovo di Chicago: “Vorrei chiedere al pontefice se si rende conto di quello che è accaduto con la frase ‘chi sono io per giudicare..?'”.   

Questo inverno è una stagione dura per Francesco e il suo progetto riformatore. Attacca sul Foglio uno dei capifila del tradizionalismo italiano, Roberto De Mattei: “Il dramma principale del nostro tempo (è) un misterioso processo di autodemolizione della Chiesa, che sta giungendo alle ultime conseguenze”. De Mattei accusa quegli ecclesiastici – i pro-Bergoglio evidentemente – che sarebbero intenti a costruire una Chiesa di tipo nuovo, “soggetta a una perpetua evoluzione senza verità e senza dogmi”.

Il secondo round del Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2015 sembra lontano, ma è l’appuntamento in vista del quale si stanno mobilitando tutti coloro che respingono le innovazioni proposte dal cardinale Kasper. In Italia c’è un blocco cardinalizio assolutamente contrario alla concessione della comunione ai divorziati risposati. Cardinali di peso: Camillo Ruini ex presidente Cei, Carlo Caffarra arcivescovo di Bologna, Angelo Scola arcivescovo di Milano. In particolare Scola ha lanciato in un’intervista un singolare avvertimento: “Credo proprio che il Papa non la prenderà (la decisione di permettere la comunione ai divorziati, ndr)”. È un blocco che si salda con una parte della gerarchia statunitense, rimasta ancorata all’impostazione dei principi non negoziabili di Benedetto XVI.   

Di fatto, a due anni dall’elezione di Bergoglio, la sua base elettorale in conclave è spaccata. Avvenne egualmente ai tempi di Giovanni XXIII: gli elettori di papa Roncalli volevano un pontefice più pastorale, ma non si aspettavano (e molti poi furono contrari) che indicesse un Concilio aperto alla società moderna e non armato di condanne. Così sta accadendo con Francesco. Una parte dei suoi elettori chiedeva uno snellimento della Curia, pulizia negli affari finanziari del Vaticano, una maggiore consultazione tra il pontefice e i vescovi del mondo. Ma non era pronta minimamente alla rivoluzione multidimensionale di papa Bergoglio: una Curia non più accentratrice, le donne in posti decisionali, un nuovo approccio in materia sessuale, il dialogo senza barriere con i non credenti, la fine della Chiesa imperiale, la riforma stessa del papato.

Drammatico in proposito è il silenzio dell’associazionismo cattolico italiano, tanto più grave in quanto Francesco esorta i laici ad essere attivi. Si prenda la lista di movimenti e associazioni che aderirono al Family Day promosso dalla Cei nel 2007 per sabotare la legge sulle unioni di fatto del governo Prodi: ora che questi cattolici potrebbero parlare liberamente su famiglia, divorzio, convivenze, aborto, sessualità e ruolo della donna, tacciono e si nascondono senza prendere posizione né pro né contro il riformismo di Bergoglio. Papa Francesco è consapevole del momento difficile. Prima di Natale, a colloquio con una persona di sua fiducia, ha esclamato: “L’unica cosa che chiedo al Signore è che questo cambiamento, che porto avanti per la Chiesa con mio grande sacrificio, abbia continuità. E non sia una luce che si spegne da un momento all’altro”. In privato Francesco ribadisce spesso: “Loro, in conclave, sapevano chi eleggevano. Io non ho fatto niente per essere eletto”. E alla fine il Papa conclude sempre: “A me non mi cambiano!”.

Alcuni fra i suoi sostenitori ritengono che in vista del Sinodo di ottobre sia necessario trovare in anticipo una soluzione di compromesso sui divorziati risposati. Francesco si muove intanto su più linee. Nella recente intervista alla giornalista Elisabetta Piquet della Nacion è stato molto prudente. Ha evitato di appoggiare la comunione ai divorziati risposati e ha drasticamente ridimensionato la questione gay al problema di come comportarsi con i figli omosessuali all’interno delle famiglie. Cosa diversa dal dibattito sulle coppie gay, che ha agitato il Sinodo scorso. Nel frattempo è al lavoro la commissione sullo snellimento delle procedure dei processi di nullità matrimoniale, da lui istituita ancora prima della sessione sinodale.

In Curia si liberano quest’anno due posizioni dirigenti nel dicastero delle Cause dei Santi e dell’Educazione: qui potrà mettere uomini suoi. Infine, con le nomine cardinalizie annunciate domenica, le porpore da lui scelte cominciano a formare un quarto del conclave. L’Europa perde la maggioranza nel corpo elettorale. Solo un curiale (l’ex ministro degli esteri Mamberti) riceve la porpora. Nessuna va agli statunitensi. Gli italiani scelti sono due personalità lontane dal potere, fortemente pastorali, di “periferia”: mons. Menichelli di Ancona e mons. Montenegro di Agrigento, che accompagnò il Papa a Lampedusa. Per il resto irrompe nel collegio cardinalizio il Terzo mondo: dalle Isole Tonga al Vietnam, da Capo Verde alla Birmania, dall’Uruguay alla Nuova Zelanda, dall’Etiopia a Panama.

il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2014

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