La breve campagna elettorale di Alexis Tsipras si sta rivelando un attento esercizio di dosaggio politico. Su un piatto della bilancia ci sono gli elettori, quelli che tra meno di venti giorni dovranno materialmente inserire la scheda nell’urna. Dall’altra ci sono gli investitori, quelli che influiscono sull’andamento dei mercati, e che possono far crollare le borse, creando così paura e incertezza nel Paese, e spostando una parte dell’elettorato dalla scommessa Tsipras verso la certezza Samaras.

Il giovane leader della sinistra greca vuole tenersi buono il suo elettorato, cercando di incrementare, o forse, più realisticamente, di conservare i tre punti percentuali di vantaggio che i sondaggi gli concedono sul Premier uscente Samaras. Per fare ciò deve ovviamente continuare a prospettare un’inversione a U sul binario della programmazione economica. Ribadire a gran voce la volontà di sedersi a un tavolo e ridiscutere tutte le condizioni sottoscritte negli ultimi 4 anni dai governi precedenti in cambio dei vari prestiti salva stato. E attaccare, a muso duro, le istituzioni finanziarie internazionali. Secondo le anticipazioni dell’Huffington Post, in un libro/intervista in prossima uscita in Italia, il leader di Syriza definirebbe gli uomini della Troika come dei “funzionariucci di medio livello, con una cultura economica mediocre, che, nell’ambito di un’impresa privata, potrebbero solo avere l’autorizzazione necessaria per accendere e spegnere il computer”.

Al contempo però Tsipras non può lasciare che la sua campagna elettorale, giocata all’attacco, getti nel caos i mercati. E infatti non dimentichiamoci che una delle prime dichiarazioni del politico greco, ancora prima che iniziassero i tre turni delle presidenziali, è stata quella in cui affermava in modo chiaro ed inequivocabile la volontà di rimanere nell’euro. Poi ha recentemente aggiunto che la politica economica proposta da Syriza è compatibile con la linea Draghi, secondo cui occorre “fare tutto il possibile per salvare l’euro”.

Tsipras cerca di mantenere un equilibrio delicato. Galvanizzare l’elettorato senza innervosire troppo gli investitori. O almeno non così tanto da prestare il fianco a Samaras, che sul rischio del default e dell’allontanamento dalla zona euro gioca tutta la sua partita. Il problema però, come molti notano, è che per Syriza sarà davvero difficile realizzare alcuni punti cardine del suo programma elettorale restando nel perimetro della moneta unica. E mi riferisco, tra le altre cose, all’incremento del salario minimo, allo stop dei tagli alla spesa e alle riassunzioni pubbliche.

Pochi giorni fa il Der Spiegel calcolava che a Tspiras occorrerebbero più di 10 miliardi di euro per tenere fede alle sue promesse elettorali. Soldi che al momento la Grecia non ha, e che certamente non riuscirebbe a prendere in prestito dai mercati. Inoltre, ha aggiunto il settimanale tedesco, se nel 2012 era necessario mantenere Atene nella zona euro per evitare la distruzione della moneta unica, oggi non è più così. La teoria del domino, secondo cui la Grecia, in un eventuale tracollo finanziario,  si sarebbe trascinata dietro gli altri Stati dell’Europa mediterranea, è stata messa da parte. Ora alla Germania farebbe più comodo che la futura Grecia guidata da Syriza si allontani dall’euro, ponendo fine ai continui attacchi politici contro i programmi di riforma economica. Ed evitando così di soffiare vento sulle vele dei partiti euroscettici di Spagna, Francia e Italia.

Non dimentichiamoci infatti che in Spagna Podemos ha forzato il sistema bipartitico attestandosi come seconda forza politica del Paese, capace di raccogliere il consenso di uno spagnolo su quattro. In Francia Marine Le Pen sembrerebbe avere doppiato in popolarità il Presidente Hollande. Ed anche in Italia i partiti euroscettici hanno dimostrato di poter raccogliere un considerevole consenso elettorale.

Un governo guidato da Tsipras potrebbe forse causare più danni alla Germania dall’interno dell’Eurozona, piuttosto che dal di fuori. Per questo oggi la “Grexit” non è più un tabù per i partner europei, come due anni fa. A dire no a questa eventualità sembrerebbero però essere proprio i Greci, cui in un recentissimo sondaggio commissionato dal giornale Eleftheros Typos è stato chiesto se desiderino che Atene resti o meno nell’euro. Una percentuale altissima degli intervistati, il 74 per cento, ha risposto “sì” o “probabilmente sì”. L’11 per cento in più rispetto all’anno passato.

 

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