Come molti riconoscono ma a bassa voce, due miliardi di euro di danni per frane e alluvioni nei soli mesi autunnali sono un fardello enorme per le esangui casse dello Stato: quasi il 3 per mille del bilancio annuale. Spinto da questa consapevolezza, il governo inizia a capire che la prevenzione paga e con lo slogan #Italiasicura ha fatto una promessa che non sarà facile mantenere. L’uomo ha una sola sicurezza in vita sua e non diciamo quale perché porta male. Adottare le cinture di sicurezza, rinforzare l’abitacolo dell’auto con una struttura a deformazione controllata o migliorare i sistemi attivi, dai freni ai sensori di ostacolo, non è un’azione definitiva per eliminare gli incidenti stradali, ma ne diminuisce il numero e ne limita gli effetti. La sicurezza non nasce dal mero assemblaggio di decisioni prese separatamente in sedi avulse l’una dall’altra ma dal concorso di più azioni e di più soggetti. Se non crediamo che un buon casco ci metta comunque e sempre al riparo dall’impatto di qualunque incidente, è molto più onesto parlare di mitigazione invece che di messa in sicurezza.

Italiasicura-rosso

Se si volesse rendere sicura Genova nei confronti di un’alluvione come quella del 1822 o quella del 1452, assai peggiori di quella terribile del 1970, i costi salirebbero alle stelle, visto che ogni centimetro delle sue zone riparie è stato occupato. E in passato perfino l’alveo di magra. Dove hanno preso a riferimento la sicurezza idrologica assoluta hanno sempre fallito, come nella centrale nucleare di Cooper sul fiume Missouri, alluvionata nel 1993. La piena duecentennale che si adotta in Italia, spesso in modo acritico, presenta un rischio minore di quella centennale adottata in molti paesi europei, ma ha comunque una probabilità del 5 per mille di venire superata ogni anno, circa il doppio di quella con cui potete fare un ambo al lotto con una giocata. E c’è una probabilità del 5 per cento che accada nei prossimi 10 anni. Se ve lo dice il medico che vi cura una grave malattia dormite tranquilli?

La valutazione del rischio accettabile dipende da molti fattori, dal livello culturale all’organizzazione sociale, all’attitudine psicologica degli individui e della collettività, al reddito e alla ricchezza, compresa la loro distribuzione. Nel mondo moderno e per la cultura europea la vita umana non è monetizzabile. L’uomo può quindi fare fronte al rischio alluvionale soltanto mitigandone l’impatto sul territorio e salvaguardando la vita umana. E la misura più efficace di salvaguardia della vita umana è la protezione civile, nelle sue fasi di prevenzione, soprattutto, e quindi di emergenza. Per difendere la propria terra e le proprie città dalle alluvioni, invece, l’uomo ha bisogno di un adeguato e armonico impegno di opere idrauliche, di sistemazioni montane e di strutture di flood proofing, adattando anche l’urbanizzazione e, più in generale, l’uso del territorio all’evidenza di questo rischio. Si chiama resilienza.

Dal dopoguerra in poi l’Italia ha seguito le mode in modo ottuso, privilegiando in modo esclusivo l’una o l’altra di queste azioni – dalle opere idrauliche (argini) negli anni ’50 alla protezione civile nazionale negli anni duemila – senza mettere in piedi una solida base culturale con cui affrontare questione. Sapremo fare uno sforzo per prevenire e, come disse un telecronista Rai dopo l’alluvione genovese del 1970, prevedere e provvedere?

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