“Le Femen offendono i sentimenti religiosi di innumerevoli persone”. Nessuna assoluzione da parte del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, per la donna ucraina, attivista del noto movimento di protesta, che nel giorno di Natale, durante il messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco, ha tentato di rubare il bambino Gesù deposto nel presepe di piazza San Pietro. Iana Aleksandrovna Azhdanova, questo il nome della donna, si è avventata, con il seno nudo e una scritta “God” sul corpo, verso la rappresentazione della natività realizzata quest’anno dalla Fondazione Arena di Verona nel cuore della cristianità afferrando la statua del bambinello e urlando slogan contro la Chiesa cattolica. Subito bloccata dalla Gendarmeria vaticana, in collaborazione con la Polizia italiana, ora si trova in arresto nella caserma del Corpo di sorveglianza, in attesa dell’interrogatorio da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato della Città del Vaticano, che deciderà se convalidare il fermo e come procedere nei suoi confronti.

L’arresto della donna, come ha spiegato padre Lombardi, è stato disposto dal direttore dei Servizi di sicurezza del Governatorato, il comandante della Gendarmeria Domenico Giani, in flagranza di reato. Iana Aleksandrovna Azhdanova ora dovrà rispondere di “vilipendio, atti osceni in luogo pubblico e furto”. Durissima la condanna del portavoce della Santa Sede che ha precisato che “il fatto è da considerare particolarmente grave per il luogo e le circostanze in cui è stato compiuto, offendendo intenzionalmente i sentimenti religiosi di innumerevoli persone. Né bisogna dimenticare – ricorda ancora Lombardi – che tre persone del gruppo Femen avevano già compiuto recentemente, il 14 novembre 2014, atti osceni offensivi per la fede cristiana nella piazza di San Pietro. È quindi giusto procedere con opportuno rigore nei confronti del ripetersi di atti che violano intenzionalmente, ripetutamente e gravemente il diritto dei fedeli al rispetto delle loro legittime convinzioni religiose”.

Insieme alla donna ucraina, nelle celle vaticane è recluso anche l’imprenditore triestino Marcello Di Finizio, che da tempo usa la Basilica Vaticana come luogo per protestare contro un’applicazione della normativa europea Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi che, a suo dire, penalizzerebbe la sua attività. Il 22 dicembre 2014 è riuscito a salire per la quinta volta sulla cupola di San Pietro, dove si è scattato anche un selfie, ed è rimasto appeso per più di 24 ore, trascorrendo anche la notte a 80 metri d’altezza, imbragato con una fune. Attualmente è in attesa di essere giudicato dalle autorità vaticane nel carcere dove fu detenuto l’ex maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, condannato per i furti delle carte riservate del Papa tedesco poi pubblicate da alcuni organi di stampa. Nel 2012 Gabriele rimase per 60 giorni in cella di isolamento e fu poi trasferito agli arresti domiciliari. In seguito fu processato e condannato a 18 mesi di reclusione prima di essere graziato da Ratzinger alla vigilia del suo ultimo Natale da Papa.

L’ultimo arresto eclatante, invece, risale al settembre 2014 quando, per volontà di Bergoglio, sono scattate le manette per l’ex nunzio polacco Jozef Wesolowski, già ridotto in primo grado nel processo canonico allo stato laicale, al quale furono poi concessi i domiciliari in Vaticano. Il presule è attualmente sotto processo penale per pedofilia e pedopornografia. All’inizio del 2015 è prevista la condanna di primo grado nella quale rischia un massimo di 10 anni di reclusione considerando tutte le aggravanti.

Twitter: @FrancescoGrana

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