Il semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue si è di fatto concluso con il Vertice di ieri a Bruxelles: un vertice breve, più breve del previsto, e pure vuoto, più vuoto del solito. Non c’era nulla da decidere; e c’era poco da discutere, anche per evitare di litigare sul nulla.

Tutti a casa, dunque, i leader dei 28 già ieri notte, evitando di riprendere i lavori questa mattina. L’agenda era esaurita: delle comunicazioni della Commissione sul ‘piano Juncker’ avevano già preso atto; e le preoccupazioni di rito per i focolai di crisi internazionali le avevano già espresse.

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Era oggettivamente difficile fare di più e meglio, nella circostanza – e, forse, in tutto il semestre -. Ma di tracciare bilanci definitivi della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, collocata allo snodo di ineludibili scadenze istituzionali, come il nuovo Parlamento e la nuova Commissione, ci sarà modo e tempo, di qui alla fine dell’anno.

Colpisce, però, il tentativo di presentare come successi risultati che, nella migliore delle ipotesi, sono neutri. E, soprattutto, l’acquiescenza di molti media di fronte a tale tentativo. Prendiamo, a mo’ d’esempio, il ‘piano Juncker’ e la flessibilità.

Il ‘piano Juncker’ è il piano di investimenti che, partendo da un fondo di 21 miliardi di euro, si propone di mobilitarne in investimenti oltre trecento in tre, o più, anni, innescando crescita e occupazione. Bene, il piano non è stato affatto approvato, per la semplice ragione che non è stato neppure presentato. Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha illustrato le linee guida del suo progetto, come aveva già fatto al Parlamento europeo, ed è stato incoraggiato ad andare avanti. Ma l’Esecutivo si riunirà il 13 gennaio, per discuterlo e vararlo; e il Consiglio europeo ha già previsto una riunione straordinaria il 12 e 13 febbraio, per discuterlo ed eventualmente adottarlo.

Solo allora le condizioni d’attuazione del piano saranno definite. E, quindi, solo allora la flessibilità, ad esempio, sull’esenzione dal Patto di Stabilità degli investimenti nazionali funzionali al piano potrà considerarsi acquisita, se lo sarà – e c’è margine perché lo sia-, ovviamente alle condizioni che verranno concordate.

Quanto poi a sostenere che la parola flessibilità è apparsa per la prima volta in un testo europeo ieri, i documenti dell’Ue sono pieni di aperture alla flessibilità “nell’ambito degli impegni esistenti”. E, per ora, non siamo andati al di là.

Infine, c’è ‘sta voce italo-italica che il presidente Napolitano attenderebbe per dimettersi la chiusura del semestre di presidenza, cioè –leggete e sentite ovunque- metà gennaio, quando il premier Renzi si presenterà al Parlamento europeo a fare il proprio rapporto sulla presidenza italiana. Ora, quali che siano le intenzioni di Napolitano che io non conosco, il semestre italiano finisce alla mezzanotte del 31 dicembre: allo scoccare del Nuovo Anno, onori e oneri della presidenza di turno passeranno alla Lettonia, sgravando Matteo e i suoi ministri dal fardello dell’impegno europeo che, forse, li ha rallentati sulla via delle cose da fare in Italia.

Perché, negli ultimi sei mesi, di decisioni se ne sono prese poche in Europa, ma pure poche in Italia. E, invece, come canticchiava il premier Renzi, lasciando ieri notte il podio europeo –lo riferiscono testimoni oculari-, ci sono state “parole, parole, parole”. Chi è la Mina del premier Alberto Lupo?

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