È una sentenza destinata a far discutere. La Corte di giustizia europea, accogliendo il ricorso presentato in Gran Bretagna dalla multinazionale Usa International stem cell corporation (Isco), ha stabilito che un ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali. Quindi comprato, venduto, usato a fini di ricerca. “Un organismo non in grado di svilupparsi in essere umano non costituisce un embrione umano ai sensi della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – sottolinea la Corte in una nota -. Pertanto, le utilizzazioni di un organismo del genere a fini industriali o commerciali possono essere, in linea di principio, oggetto di brevetto”. Una decisione, quella odierna, che ribalta quanto deliberato dalla stessa Corte nel 2011, quando aveva stabilito che “la nozione di embrione umano comprende gli ovuli umani non fecondati”.

Ma come si spiega questo apparente cambiamento di rotta dei giudici europei? La compagnia americana ha sviluppato una nuova tecnica basata sulla stimolazione chimica degli ovociti, che sono così indotti a dividersi senza che sia avvenuta fecondazione, in base a un processo che prende il nome di partenogenesi largamente diffuso in natura, per esempio in molte specie di insetti e rettili. Lo scopo è ottenere cellule staminali con la “promessa – si legge sul sito della multinazionale – di compiere significativi progressi nel campo della medicina rigenerativa contro malattie dell’occhio, del sistema nervoso e del fegato, evitando problemi di rigetto del sistema immunitario”. “Le cellule ottenute per partenogenesi – sottolinea la rivista New Scientist in un precedente approfondimento sulle staminali – potrebbero essere utilizzate per creare delle banche cellulari. Queste staminali hanno, infatti, due set identici di cromosomi, piuttosto che uno materno e uno paterno, e quindi meno possibilità di provocare una reazione immunitaria”.

Si tratta delle cosiddette staminali pluripotenti, in grado di differenziarsi in diverse parti del corpo, e quindi potenzialmente utilizzabili a scopi terapeutici per rimpiazzare tessuti danneggiati o malfunzionanti. Le ricerche su queste speciali cellule, tuttavia, sollevano non pochi interrogativi etici, perché spesso legate alla manipolazione di embrioni umani. La sperimentazione sulle staminali ottenute tramite partenogenesi nasce proprio nel tentativo di mantenere le potenzialità terapeutiche delle cellule, tenendo anche conto delle implicazioni etiche. “La partenogenesi – sottolinea la rivista New Scientist – permette di ottenere embrioni che non potrebbero mai diventare esseri umani, e cellule staminali indistinguibili da quelle embrionali”.

Una linea recepita oggi dai giudici del Lussemburgo, e che spiega il nuovo pronunciamento. “Il solo fatto – sottolinea la nota della Corte – che un ovulo umano attivato per partenogenesi inizi un processo di sviluppo non è sufficiente per considerarlo un embrione umano”. Il tribunale europeo ha, però, lasciato ai colleghi britannici la decisione di determinare se le cellule usate dall’azienda biotech americana rientrino nei criteri fissate dalla sentenza odierna.

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