Non aveva neanche fatto in tempo a parlare che la sua città, Torino, è stata tenuta fuori dalla rosa iniziale di sedi in cui si potrebbero disputare le gare delle Olimpiadi di Roma 2024. “Ho parlato con il premier Renzi e con il presidente del Coni Malagò – spiegava lunedì il sindaco Piero Fassino –: se sarà prevista l’allocazione di gare in altre città, Torino, per la sua esperienza nei Giochi del 2006 e per l’infrastrutturazione di cui dispone, sarà sicuramente presa in considerazione”. A otto anni di distanza il capoluogo piemontese, rinnovato e rinato da quell’esperienza, si trova però a dover ancora gestire il complesso di società e strutture rimaste e qualsiasi occasione è buona per sfruttarle: l’anno scorso ci sono stati i “World Master Games”, competizioni internazionali per dilettanti attempati, e il prossimo anno sarà la volta delle iniziative di “Torino Capitale europea dello Sport”.

Fatta eccezione di alcuni degli impianti costati centinaia di milioni di euro, una parte di questi resta inutilizzati, come la pista da bob a Cesana: costata più di 61 milioni di euro, è stata a lungo un problema per via delle 48 tonnellate di ammoniaca necessaria al raffreddamento e per i suoi costi di gestione, motivo per il quale il Comune di Cesana ha deciso che non la riaprirà. Che dire poi delle quattro palazzine del villaggio olimpico vicino al Lingotto? Lasciate per anni in abbandono, oggetto di atti vandalici, ora sono occupate da profughi profughi provenienti dall’Africa.

Non è tutto. I giochi sono stati un’occasione per creare enti costosi. Un esempio? L’agenzia “Torino 2006”, la stazione appaltante ancora oggi in attività. Alla fine dell’estate scorsa la Guardia di finanza ha consegnato alla procura della Corte dei conti la relazione conclusiva di un’indagine sulla gestione liquidatoria. Alcune delibere della sezione di controllo, che valuta i bilanci di enti pubblici, sottolineavano come questa gestione, fatta per liquidare gli ultimi importi e chiudere, ma di fatto continuata in proroga, costasse ancora molto: dal 2008 e per quattro anni l’agenzia ha avuto spese stabili per circa 1,6 milioni all’anno, “costi sproporzionati rispetto alla ridotta attività svolta”. Si tratta di spese per la gestione interna (sedi, telefonia, abbonamenti a giornali, taxi e altro), ma anche per i compensi del personale e per le tante consulenze esterne. Si prevedeva che l’attività dell’agenzia “Torino 2006” terminasse quest’anno, ma andrà avanti almeno fino al 2016 per via di alcuni contenziosi legali, a ben dieci anni dalla fine.

C’è poi la Fondazione 20 marzo 2006, costituita dagli enti locali e dal Coni per controllare l’eredità dai Giochi invernali, ma con un bilancio “pesantemente negativo” , stando a quanto detto dall’assessore all’urbanistica Stefano Lorusso al Consiglio comunale del 10 dicembre. La gestione dei luoghi – tra cui la pista da bob e le palazzine del villaggio olimpico – è affidata alla società Parcolimpico, creata dalla fondazione insieme a Live Nation e a Set Up di Giulio Muttoni, ex dirigente dell’Arci torinese, organizzatore di eventi, ma anche grande amico del senatore Pd Stefano Esposito e dell’ex assessore comunale allo Sport della giunta Chiamparino, Elda Tessore. Sulla gestione di quella gara e sullo stato di abbandono dei dodici impianti la procura di Torino avviò un’indagine grazie all’esposto dell’ex consigliere leghista Mario Carossa. L’indagine del pm Cesare Parodi fu archiviata, ma dagli atti emerse il sistema di potere e amicizie che si è spartito la torta del post-olimpiadi.

da il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2014

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