Se il Patto del Nazareno era stato il combustibile del processo di riforme istituzionali, compresa quella elettorale, ora rischia diventare l’ultimo scoglio che il Parlamento non riesce a superare. A pochi metri dal secondo tagliando per entrambi i ddl (l’Italicum è al Senato, le riforme sono alla Camera) Forza Italia si mette di nuovo di traverso. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva appena finito di dire che il pacchetto doveva essere approvato entro gennaio, prima che Giorgio Napolitano lasci definitivamente il Quirinale, che i berlusconiani in conferenza dei capigruppo a Montecitorio hanno proposto che tutto sia rinviato a dopo l’elezione per il nuovo capo dello Stato. Questo vuol dire a marzo, visto che secondo alcuni calcoli la prima convocazione dei grandi elettori per scegliere il nuovo presidente della Repubblica potrebbe avvenire intorno a metà febbraio e che non si annuncia esattamente una passeggiata. Ma dal Pd replicano: i tempi per l’approvazione della legge elettorale sono “assolutamente stringenti e urgenti” e se “Fi o altri hanno intenzione di andare per le lunghe o fare melina, il Pd andrà avanti lo stesso, forte dei numeri e della determinazione riformatrice”.

Non è una posizione inedita, quella di Forza Italia. Berlusconi c’aveva già provato un paio di settimane fa: “Prima il Quirinale, poi le riforme” aveva detto l’ex Cavaliere al Corriere della Sera. Il giorno dopo Renzi gli aveva risposto che non era più lui, il leader di Fi, a dare le carte.

Resta che questa nuova puntata come minimo può rallentare il percorso del ddl Riforme. Erano già state abbastanza chiare le parole del presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio Francesco Paolo Sisto (forzista): “Bisogna fare attenzione alla ricaduta delle dimissioni di Napolitano sui tempi delle riforme: alla Camera, inizieremo a discutere in Aula i primi di gennaio e certo non è pensabile che si faccia una corsa contro il tempo per chiudere tutto prima delle dimissioni del Capo dello Stato”. Renzi aveva risposto indirettamente durante l’incontro con i senatori del Pd: l’obiettivo – ha detto – è votare il ddl Riforme entro il 31 gennaio e la legge elettorale entro il 26. Ma i malumori restano anche dentro al Pd. “Dobbiamo essere consapevoli – insiste in commissione Rosy Bindi – che stiamo agendo con un metodo che non è costituente, lo spirito e il metodo costituente prevede che ciascuno di noi, come parlamentare non sia vincolato a nessun mandato”.

Riforme, possibili emendamenti fino al 7 gennaio
Intanto nell’Aula di Montecitorio è ripresa la discussione generale sul disegno di legge sulle riforme costituzionali che si è protratta per tutta la giornata. Per domani, 18 dicembre, è in programma il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate dalle opposizioni. I gruppi parlamentari potranno presentare emendamenti fino al 7 gennaio. Ogni gruppo potrà presentare un massimo del 15% di emendamenti in più di quelli già presentati. La presidente Laura Boldrini ha acconsentito all’ampliamento della possibilità di presentare nuovi emendamenti “in considerazione dell’atteggiamento costruttivo mostrato fino ad ora dai gruppi parlamentari”. A gennaio il contingentamento dei tempi di esame delle riforme è stato fissato in 80 ore.

Italicum, al via voto sugli emendamenti
Sulla legge elettorale, quasi per paradosso, Renzi aveva difeso il “metodo Nazareno”. Ad alcuni senatori che sollecitavano modifiche in particolare sui cento capilista bloccati il segretario del Pd ha replicato che per eventuali modifiche alla legge elettorale serve l’accordo di tutti i partiti della maggioranza e di Forza Italia. Renzi, tuttavia, ha anche dato il suo sostegno all’ipotesi di fissare una data certa per l’entrata in vigore dell’Italicum. Il premier, secondo quanto riferisce il senatore Francesco Russo su Twitter, ha ribadito i cardini della riforma: “Abbassamento delle soglie di sbarramento, parità di genere, no all’apparentamento” delle liste. E ancora: “Ballottaggio, no a veto di piccoli partiti, premio di maggioranza, no liste bloccate, regole condivise”.

La commissione Affari Costituzionali del Senato ha terminato l’esame degli emendamenti, rinviando i nodi relativi alla clausola di salvaguardia. Un aggiornamento del calendario si avrà solo venerdì 19, con un ufficio di presidenza convocato dopo la capigruppo che seguirà ai lavori dell’Aula. Sembra ormai probabile il rinvio all’Aula, senza mandato al relatore: il testo potrebbe essere incardinato già lunedì. Il ritmo in commissione è stato blando. “Stiamo fingendo di fare la commissione Affari Costituzionali – dice Mario Mauro (Gal) – Siamo in attesa dell’accordo politico e quindi ci stiamo impegnando a fingere di fare qualcosa”. Giovanni Endrizzi (M5S) sottolinea: “Piuttosto che continuare lo show, abbiamo proposto di sospendere i lavori, invece stiamo facendo finta di lavorare in attesa che lor signori decidano”.

Il rischio è che la conferenza dei capigruppo di venerdì rinvii il ddl in Aula senza mandato al relatore. Circostanza, dice l’Ansa, che non è stata ben accolta dai componenti di Fi e di Ncd, con gli azzurri che avrebbero avvertito Pd e governo di essere pronti a votare anche le pregiudiziali di costituzionalità. In più ci sono 17mila tra emendamenti e subemendamenti. E se arriva senza mandato al relatore “il numero degli emendamenti crescerà” dice Roberto Calderoli. Non solo: gli emendamenti più pesanti, relativi alla norma transitoria e la clausola di salvaguardia (condizioni di entrata in vigore e disciplina in caso di elezioni anticipate) saranno esaminati e votati solo alla fine.

Brunetta contro Napolitano: “Parla da leader di partito”
L’impressione è che siano saltati gli schemi, insomma. E se questo finora valeva quasi solo per Forza Italia, consegnata alle guerre interne, questo ora si riflette sulle ultime settimane del mandato di Napolitano, oltre che sul voto per il suo successore. “Ieri sera – si legge sul Mattinale, il foglio prodotto da Renato Brunetta – abbiamo assistito al capolavoro politico di Giorgio Napolitano. Ieri l’allievo di Togliatti, sempre un po’ secondo a tutti, talvolta terzo o quarto, ma sempre nel Comintern che non muore mai, è riuscito a conquistare il ruolo più ambito. Ieri ha impartito disposizioni, moniti pesanti come ordini, non da capo dello Stato (sarebbe uno sfregio alla Costituzione), non come suprema autorità garante dell’unità della nazione (come tale non gli è consentito di assumere il ruolo di capo del capo del governo). No, ieri è stato colui che nella tradizione della antica ditta rossa è il dominus di tutto l’ambaradan, il timoniere da cui promanano le rimanenti funzioni, e cioè il segretario politico del partito”. Forza Italia era stato l’unico partito a non reagire finora alle parole di Napolitano durante gli auguri alle alte cariche dello Stato. Aveva parlato il Pd che aveva grossomodo lodato le dichiarazioni del capo dello Stato, avevano parlato anche le opposizioni, critiche in vario modo (Sel, M5s e Lega). “Addirittura – prosegue il Mattinale – ha avuto l’ardire di proiettare il suo mandato oltre i due già ricevuti, consegnando un compitino al successore, il quale non dovrà far altro che essere un Napolitano-ter, dopo le regole di comportamento e la funzione politica tracciate ieri come binari inderogabili, di accompagnamento al potere sempiterno del Pci-Pds-Ds-Pd. È con ogni evidenza una benedizione della prossima copia Renzi-Padoan. Questa stabilità da lui richiesta diventa sequestro della democrazia parlamentare, imposizione di compiti che al Quirinale non spettano. La scomunica preventiva comminata a chiunque osi pensare a una qualche scissione nelle forze politiche è una cosa mai sentita. Insomma, sinceri complimenti. Arrivare a novant’anni e dare la propria forma e i propri contenuti a una Repubblica è un record mondiale. Ma ne avremmo fatto a meno e resisteremo”.

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