Soldati ! A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri”. Il 23 maggio 1915 si chiudeva così il messaggio del Re alle truppe subito dopo la consegna della dichiarazione di Guerra all’Austria-Ungheria. Dichiarazione meno famosa di quella annunciata dal balcone di piazza Venezia il 10 giugno 1940 ma probabilmente ben più letale per il popolo italiano. Secondo il demografo Giorgio Mortara furono infatti 651 mila i militari italiani caduti nella Grande Guerra oltre a mezzo milione circa di civili, morti per lo più a causa delle restrizioni dovute alla guerra stessa.

Ma quelli erano altri tempi. Gli stati si scambiavano forbite dichiarazioni di guerra tramite gli ambasciatori in feluca. Ambasciatori che, come ben si sa, non portano pena. Ma guai certamente sì. Venne poi la Mad (mutual assured destruction, la distruzione reciproca assicurata) e la nuclear football, la valigetta contenente i codici di lancio dei missili nucleari che seguiva sempre il presidente degli Stati Uniti. E anche quello sovietico, ora russo. E le dichiarazioni di guerra vennero sepolte dall’ineluttabilità, cancellate dai tanti dr. Strangelove che popolavano il mondo.

aula senato camera 675

Venne poi la guerra liquida, la guerra permanente in cui viviamo oggi fatta di guerre umanitarie, guerre al terrorismo, di aerei senza pilota, di missioni di pace. Non si dichiara più guerra, la decide un pugno ambasciatori con una risoluzione. Che sia il Consiglio di sicurezza dell’Onu o il consiglio della Nato non importa: non siamo mai stati tanto in guerra come da quando la guerra non sembra esistere più. Come spiega Giuseppe De Vergottini in un suo intervento del 2002 a un convegno su guerra e Costituzione, ormai sono altri che decidono per noi. Paradossalmente, a consentirlo è quello stesso articolo 11 della Costituzione di cui di solito si cita solo il capoverso (L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali) ma raramente il secondo periodo (consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni). Dottrina e prassi costituzionale sono concordi nel ritenere legittime le operazioni militari iniziate sulla base di decisioni di organismi internazionali di cui l’Italia fa parte e ai quali ha ceduto spazi di sovranità ampi. Talvolta troppo ampi. Sulla base di questi presupposti facciamo la guerra in Afghanistan, l’abbiamo fatta e la rifacciamo in Iraq, abbiamo distrutto la Libia e tra un po’ ci torneremo per evitare che il nostro petrolio finisca nelle mani dei perfidi islamisti. Abbiamo messo a ferro e fuoco la Serbia e il Kosovo.

E allora, direte voi, perché il Parlamento sta dibattendo su come modificare l’articolo 78 della Costituzione, quello che dice: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”? Oddio, dibattendo è parola grossa. È così flebile la discussione, che nessuno se ne è accorto al di fuori delle stanze delle commissioni Difesa. Però è all’ordine del giorno perché rientra nella riforma costituzionale della ministra Boschi. Una riforma fatta con il bianchetto: cancellare la parola “Senato”. E così dove sta scritto “Camere” si legge Camera dei deputati. Di conseguenza i verbi coniugati alla terza persona plurale diventano alla terza singolare. Casomai qualcuno pensasse che non si sa di grammatica.

È vero che ai tempi della guerra liquida le dichiarazioni di guerra sono desuete come il rosolio, è pure vero che io non sono moderno come Renzi e sono purtroppo affezionato alle cose antiche come i princìpi, ma per quanto depassé i princìpi sono come la serva di Totò: servono.

Quale modernità possa dunque rappresentare l’affidare a una sola Camera la dichiarazione di guerra non si capisce bene. Di certo si capisce che, nel sistema autoritario-costituzionale che i renziani vorrebbero mettere in piedi, una decisione così terrificante come la dichiarazione di guerra verrebbe lasciata in mano al solo esecutivo, visto che con premi e premiolini, mattarelli e consultelli, l’unico ramo del Parlamento deliberante sarebbe totalmente controllato dal partito di Governo.

Ma tanto a che serve, dirà il solito benpensante di passaggio? Se non serve perché la guerra dichiarata non sembra esistere più, allora tanto vale lasciare tutto com’è. Alla Costituente dibatterono per giorni e giorni su questo articolo. Certo, la guerra era finita da pochi mesi, ma anche le bombe atomiche erano cadute da poco su Hiroshima e Nagasaki e i costituenti sapevano benissimo che la guerra appena conclusa sarebbe stata l’ultima combattuta secondo le vecchie “regole”. E proprio per questo alcuni avrebbero voluto allargare ancora di più la platea dei decisori, coinvolgendo anche le assemblee regionali come chiese ad esempio un democristiano catanese, Corrado Terranova, “un sistema più ampio e più approfondito di accertamento della volontà popolare di fronte a quella terribile cosa che è la guerra; di un sistema, che renda la responsabilità della decisione relativa all’entrata in guerra più larga e, di conseguenza, più determinante. La verità è che l’idea della guerra ci rattrista e ci atterrisce”.

Eppure l’impianto legale della guerra esiste in Italia ed è lo stesso che c’era nel 1940. Ancora perfettamente in vigore e valido, anche se apparentemente in sonno. I militari, che della guerra sono i sacerdoti e i custodi, lo sanno e si son ben guardati dal toccare la legge di guerra e quella di neutralità che sono del 1938. Nel 2010, quando le leggi sulla Difesa vennero consolidate nel Codice dell’ordinamento militare, queste due rimasero stranamente fuori. Meglio non fare onde, dicono i gondolieri.

Come rimangono perfettamente valide e applicabili le norme sullo stato d’assedio, oggi chiamato stato di pericolo pubblico. Sono gli articoli dal 214 al 219 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1938. In caso di guerra dichiarata, prefetti e comandanti della piazza potrebbero ripristinarle per decreto: arresti senza motivi, sospensione delle libertà civili e dei diritti costituzionali, tribunali militari che giudicano anche i reati commessi dai civili (si risolverebbe così il problema delle loro attuale sottoutilizzazione).

Qualcuno, come i parlamentari Cinque Stelle in Commissione al Senato e alla Camera ha cercato di opporsi ai ciechi yesman della maggioranza. Con scarso esito. Un moderato come Giuseppe De Mita, centro democratico, nipote del più famoso Ciriaco, ha proposto che almeno sia necessaria una maggioranza di quattro quinti. Respinto con perdite per evidente passatismo.

Non c’è verso. Questi talebanucci del renzismo arrembante vogliono far fuori tutto, a prescindere. Non ricordano certo il ciceroniano Silent enim leges inter arma, le leggi tacciono in mezzo alle armi, forse perché pensano che le armi saranno sempre in mano loro. Magari hanno letto troppo Marinetti “soltanto la guerra sa svecchiare, accelerare, aguzzare l’intelligenza umana, alleggerire ed aerare i nervi”. Di sicuro non mai hanno letto Mahmoud Darwish: “Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli”.

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