Alessandro si sveglia tutti i giorni alle 5.30, ma non andrà a lavoro fino alle 8.30. Prima andrà giù in strada, attraverserà le strade nel freddo di prima mattina e si recherà nella sede dell’associazione. Lì, insieme ad altri e altre come lui, riempiranno pentoloni di latte e tè, prepareranno biscotti e li serviranno alla fila che intanto fuori si è formata. Una fila di senzatetto, di ultimi della società che anche oggi però avranno la loro colazione. E così da tre anni, tutti i giorni.

Alle 19.00 invece, in via dei Sulpici, apre la Locanda dei Girasoli, dove ai clienti vengono servite le pizze da ragazzi con la sindrome di down. Una pizzeria (e ristorante) dove la persona con disabilità è inserita nel mondo del lavoro. E così da 14 anni, tutti i giorni.

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Roma è loro, di queste persone che non entrano nelle cronache dei quotidiani. Quest’ultime vengono occupate dal mondo di mezzo, da Carminati, Buzzi, Alemanno e altri politici di tutti gli schieramenti, ovvero di uno solo, quello degli interessi particolari, personali, del tradimento del proprio paese. Non c’è possibilità di confronto, né di comunicazione, tra i mondi di Alessandro, della Locanda dei Girasoli e il “mondo di mezzo”. Più che pensare a soluzioni con nuove leggi è necessario capire il gap culturale che si è formato tra questi mondi, quale filtro o quale tappo vi sia tra l’uno e l’altro. Perché la società è formata in prevalenza dai primi, ma sembra che ai vertici ci arrivino solo i secondi.

buzzi 675

Non ho mai apprezzato la cultura del “sono tutti uguali” e mi fa specie sentire un Di Battista dire che la mafia è anche Bruxelles che impone regole all’Italia (regole di trasparenza, regole ambientali) alla faccia della mafia…Credo che questo modo di pensare sia inconsapevolmente alleato delle mafie che sguazzano nel “sono tutti uguali” e nell’uso improprio delle parole, ma ammetto che ogni tanto la tentazione di pensarlo viene.

Non è una questione di leggi perché non mancano, ma una mancanza di cultura della trasparenza, di controllo sull’operato e di selezione della classe dirigente. Rischia invece di imporsi una cultura del ritiro degli onesti, che nelle associazioni, nel volontariato e nella quotidianità svolgono la propria missione di civilizzazione, senza alzare la testa, perché sanno che i vertici dello Stato sono riservati ad altri, a chi si è compromesso, al figlio di, agli amici degli amici. Non trovano spazio nei loro comuni, figurarsi più in alto. E così la dicotomia tra i due mondi rischia di allargarsi a Roma come a Venezia, a Milano come a Napoli. Eppure Roma è loro, e sono loro Venezia, Milano e Napoli, loro è l’Italia, nostra, degli onesti che insistono per vincere questa barbara guerra all’inciviltà e al sopruso.

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