senza paroleIl nuovo, divertentissimo romanzo di Edward St Aubyn, Senza parole (Neri Pozza, traduzione di Luca Briasco) dovrebbe essere obbligatorio per tutti e quattrocento gli amici della domenica. Non importa se è ambientato a Londra. St Aubyn, invece di lamentarsi come tanti autori italiani, capaci solo del solito piagnisteo a ogni Strega, si fa beffe di tutti attraverso un racconto esilarante, costruito intorno a un immaginario premio Elysian.

Dopo la grande fatica della saga dei Melrose, St Aubyn si concede un divertissement, una commedia degli equivoci che ha per protagonista il mondo letterario inglese (ma si può tranquillamente trovare un equivalente italiano per ogni personaggio). Seguiamo le avventure di una giuria sgangherata e improvvisata (un solo elemento su cinque capisce qualcosa di letteratura) che finirà per premiare un libro di ricette mandato al premio per sbaglio, e contemporaneamente quelle di un gruppo di scrittori che aspirano a vincere. La gloria, nell’iconologia moderna, è bendata come la fortuna e non arriva esattamente a chi la merita: per una serie di coincidenze, dopo sanguinosi litigi fra i giurati, strategie assurde e notti passate a contrattare, verrà incoronata una vecchia signora indiana (Zietta) che davvero non aveva intenzione di scrivere un romanzo, ma un semplice libro di cucina. Per quanto sia evidente che il suo discorso riguardi esclusivamente riso e spezie, tutti intorno a lei – editori, agenti e giornalisti – sembrano impazziti e si ostinano a trattarlo come un discorso letterario. E la commedia diventa un apologo amaro sull’incapacità di leggere, prima ancora che su quella di scrivere.

L’ironia feroce di St Aubyn non risparmia nessun personaggio, ci offre una galleria quasi completa dei tipi umani che affollano il mondo letterario di qualunque paese, dalla pignola professoressa che insegna letteratura all’università alla giornalista senza scrupoli, dal politico corrotto al filosofo logorroico, dall’aspirante romanziere megalomane alla anaffettiva scrittrice di moda. Il sarcasmo vero però salta fuori quando St Aubyn si mette a giocare con la letteratura stessa, inserendo nella storia pagine dei romanzi in lista. Attraverso questi piccoli e indimenticabili esercizi di stile (che fanno morire dal ridere) prende in giro il romanzo storico come quello sulle realtà di periferia o il thriller più becero, più in generale tutta la prevedibilità della cattiva letteratura. Del resto, in un mondo dove non c’è rispetto per l’arte e per il pensiero, dove la parola “élitario” viene pronunciata con lo stesso disprezzo del termine “codardo” in una corte marziale, allo scrittore tocca “la parte del giullare”, non può esserci spazio per altro.

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