Mentre le casse casse di previdenza private lanciano ripetuti gridi di allarme, per quella pubblica piovono le cause per rivendicare diritti calpestati. Aumentano giorno dopo giorno i guai dell’Inps, che l’anno scorso ha chiuso l’esercizio con un buco da 12,8 miliardi e ha appena archiviato il fronte esodati. Il risultato è una crescita esponenziale dei contenziosi e la prospettiva di un intervento del governo Renzi con una misura ad hoc per “contenere” il numero di cause sulla falsariga di un copione già visto in passato. Secondo il bilancio 2013 dell’istituto, i contenziosi civili di primo grado tra gennaio e maggio di quest’anno sono letteralmente esplosi: 415.585 cause contro le 447.569 dell’intero 2013. Il contrario degli scorsi anni, quando la tendenza era in calo. E se l’andamento dovesse essere confermato il 2014 potrebbe chiudersi con un raddoppio del numero di cause, che riporterà l’orologio indietro a quattro anni fa (747.068). Non è possibile per ora quantificare il danno che i procedimenti in corso possono procurare alle casse dell’ente guidato dal commissario straordinario Tiziano Treu. Almeno finché ogni singola causa non sarà arrivata in Cassazione con un giudizio favorevole al ricorrente. Solo a quel punto, infatti, emergerà la dimensione economica del buco nella contabilità nazionale dell’ente. Ma la questione inquieta non poco l’Inps, i cui conti rischiano di dover essere ripianati dall’esecutivo di turno. E già quello guidato da Renzi potrebbe decidere di agire. Non sarebbe una novità: negli ultimi dieci anni il legislatore è intervenuto in più occasioni per ridurre i termini di decadenza.

Nell’attesa l’istituto ce la mette tutta per contenere l’onda d’urto dei contenziosi, la cui riduzione era uno degli obiettivi primari indicati nel bilancio 2013. Che parlava di “azioni specifiche e mirate” come “un’adeguata formazione del personale finalizzata ad allineare i tempi di definizione dei ricorsi alle disposizioni di legge ed alle esigenze di tutela dei diritti dell’utenza”. Ma i buoni propositi della gestione dell’ex amministratore delegato Antonio Mastrapasqua sono andati a vuoto. La lista dei ricorrenti contro l’Inps si allunga, anche per effetto di pasticci normativi del legislatore, dubbie interpretazioni o vuoti di legge.

Una delle ultime istanze in ordine temporale è stata presentata dal Comitato Opzione Donna creato su Facebook da un dirigente del comune di Ravenna, Dianella Maroni, per “difendere un diritto calpestato e cercare soprattutto altre donne in tutta Italia disposte a lottare”. Opzione Donna contesta in particolare la decisione dell’Inps di bloccare, con due circolari, l’accesso alla pensione per le donne con 57 o 58 anni (per le autonome) e minimo 35 anni effettivi di contributi entro la fine del 2015. Una possibilità che è prevista nella legge 243/2004 con l’opzione per il sistema contributivo e relativa decurtazione dell’assegno pensionistico. Un diritto negato, secondo il migliaio di iscritti al Comitato, anche a dispetto di un documento di segno esattamente opposto redatto dalla Commissione lavoro della Camera (7/00159 del 6 novembre 2012) e firmato dalla parlamentare Marialuisa Gnecchi. Di qui il ricorso, che si aggiunge appunto alla lunga lista dei contenziosi dell’Inps.

L’istituto, i cui costi di funzionamento sono finiti anche nel mirino della legge di Stabilità, teme soprattutto precedenti capaci di creare un effetto domino e di aprire falle nei conti. Ipotesi non peregrina nel caso dei “caregiver“, i familiari che accudiscono quotidianamente in casa persone non autosufficienti (anziani e portatori di handicap) e che hanno portato l’Inps in tribunale per chiedere il riconoscimento di diritti minimi come quello alla malattia o alle ferie che gli altri Paesi europei hanno da tempo concesso ai loro cittadini. Un comitato formato da 400 caregiver ha chiesto il conto all’Inps per vie legali. Ma il giudice Elisabetta Capaccioli della Seconda sezione del Tribunale del Lavoro di Roma ha recentemente respinto l’istanza perché i ricorrenti non hanno identificato il quantum. Il redde rationem, comunque, è solo rinviato. “Stiamo valutando nuove strade per ottenere il riconoscimento di uno status per i familiari dei portatori di handicap, che non hanno mai diritto ad ammalarsi o a riposarsi”, spiega l’avvocato Marco Vorano. “E’ chiaro che il soggetto principale cui chiedere conto della situazione resta l’Inps, ma stiamo valutando anche di poter agire nei confronti dell’Inail, oltre a una serie di altre opzioni anche in campo europeo”. Fra le quali c’è una petizione al Parlamento europeo.

La situazione dell’ente che con poco meno di 32mila dipendenti (l’1% del totale della Pubblica amministrazione) gestisce praticamente la metà della spesa pubblica italiana è insomma assai delicata. Soprattutto perché il piatto piange, anche al netto dei contenziosi il cui esito è per definizione incerto. Nel 2013, gli oltre 270 miliardi versati dai lavoratori non sono stati infatti sufficienti a coprire le spese, circa 400 miliardi, e il governo ha dovuto contribuire con un assegno da 114 miliardi. Il sistema è decisamente squilibrato sul piano economico-finanziario. Ma il peggio è che lo è anche sotto il profilo sociale e intergenerazionale. Come evidenziato da L’Espresso in un articolo dello scorso 24 ottobre, il cospicuo tesoretto versato nel 2013 da dipendenti privati e precari (rispettivamente 4,4 e 8,5 miliardi lo scorso anno) è stato infatti usato per compensare il buco ereditato dalle casse degli ex dipendenti pubblici: 6 miliardi nel 2013, 23,2 miliardi di perdite accumulate negli anni. Non a caso il neocommissario Treu ha subito annunciato l’imminente dismissione di immobili per mettere a posto le casse dell’ente. Come se al giorno d’oggi fosse facile vendere palazzi e appartamenti.

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